I tanti modi di essere gay

Intervista a Fabio Bo

23 maggio 2007, "Pride", aprile 2007

Dalla critica cinematografica alla narrativa: l'esordio letterario di Fabio Bo con un libro di racconti che s'impone per la sua bellezza e per la verità di una rappresentazione di stili di vita gay al di fuori di ogni schema e di ogni cliché.


Prendere o lasciareè il racconto che dà il titolo a tutta la raccolta: un titolo assertivo, che suggerisce (pur nella varietà di storie narrate) un filo conduttore comune: gli omosessuali sono cresciuti e si sono emancipati, la loro condizione non costituisce più un problema e non stanno più ad aspettare che siano gli altri a legittimare la loro esistenza. Si sono autolegittimati, e la loro vita la vivono (organizzata in coppia o da single) facendo i conti quotidianamente con le gioie e le delusioni, con le esaltazioni di un nuovo amore o con la nostalgia di una giovinezza passata, con le cose belle o noiose della vita.

Gli omosessuali sono persone di settant'anni o ragazzi di sedici, hanno i loro riti elaborati in secoli di repressione, i loro luoghi di incontro, i loro modi di socializzare, e a guardarli davvero da vicino forse non hanno niente di diverso dagli altri.

Siamo così e questa è la nostra realtà: prendere o lasciare (Edizioni del Cardo, Albano Laziale, pp. 384, euro 14,80).

Più vere di tanti studi sociologici, perché si presentano con la "verità" della letteratura, le storie di Fabio Bo sono narrate con una scrittura avvolgente, sempre sorretta da una'riginalità di stile sorprendente in un esordiente, anche se si tratta di un esordiente cinquantenne che ha alle spalle un assiduo esercizio di altre modalità di scrittura.

"Pride" lo ha intervistato.


Ti conosciamo come critico cinematografic: ora pubblichi un testo letterario che col cinema sembra non avere nulla a che fare. Cosa è successo?
Sì, mi sono occupato di cinema per circa vent'anni, sono stato uno dei critici cinematografici del "Messaggero", ho scritto di cinema per Kataweb, ho partecipato per tre anni alla selezione dei film di Venezia, insomma sono stato un divoratore di film, però ho sempre sognato anche di scrivere...

L'approdo vero e proprio alla scrittura letteraria parte da un episodio che se vuoi ti racconto: qualche anno fa Andrea Bergamini mi propose di scrivere una cosa per il primo libro della sua casa editrice, Playground, una raccolta di brevi narrazioni che volevano raccontare un po' le città dell'Europa (Bloody Europe!).

La proposta mi piacque e decisi di scrivere una cosa su Monaco di Baviera, e lì nacque il mio primo racconto ambientato in questa celeberrima sauna di Monaco frequentata da Fassbinder, che è una specie di luogo sacro della comunità gay tedesca, perché è nello stesso tempo ristorante, bar, albergo, sauna.

Bergamini mi aveva chiesto tre cartelle, io ne scrissi 20 e così non se ne fece niente, ma l'idea mi piacque e continuai a scrivere racconti. Ecco, quello è stato l'input, e così sono nati undici racconti, nove sono in questa raccolta e due sono apparsi in Men on Men di Daniele Scalise.

I tuoi racconti hanno un inedito sapore di verità. Forse perché rappresenti, più di quanto facciano gli altri scrittori italiani, il mondo gay con i suoi riti e i suoi luoghi. Quanto c'è di intenzionale in questo tipo di rappresentazione?
No, non c'è nessuna teorizzazione, però una cosa la debbo dire, anche se forse è una banalità: uno scrive quello che vorrebbe leggere e nella letteratura gay, in particolare in quella italiana (a meno che non abbia preso qualche grande abbaglio e qualche libro importante mi sia sfuggito) io non trovo le storie che vorrei leggere, non riesco a riflettermi.
Nella narrativa straniera spesso sì, penso a Cunningham, a White, a Toibin: ecco, loro mi sembrano scrittori che affrontano la vita reale, in maniera diretta.
Un'altra cosa, forse un'altra banalità, è che io scrivo quello che vivo. Le mie storie sono storie che riguardano me o le persone che frequento: è la vita reale di normali persone gay.
Non m'interessa la rappresentazione del gay datalk show o dei soliti cliché. Io credo che bisognerebbe andare un po' avanti, e a me pare che il dibattito non lo sposta la società civile, né la società politica, ma spesso non lo spostano nemmeno i gay.
Io credo che tu sposti un po' in avanti il dibattito nel momento in cui tu racconti di vite di coppie gay "normali", che magari si tradiscono, o rappresenti un rapporto tra un figlio e una madre che è consapevole che il figlio è gay, o tra due fratelli, uno gay e l'altro etero, dove il gay si confronta realmente con una vita che non ha nulla di spaventoso, che a volte magari è anche noiosa, esattamente come quella degli etero.
Ecco, se vogliamo dare alla scrittura letteraria una valenza politica (che comunque i miei racconti non vogliono avere) credo che sia necessario spostare in avanti il discorso, rappresentare la banale realtà del gay della porta accanto.
Spesso mi pare proprio che la gente sia più avanti della società politica, e probabilmente in molti casi dei gay stessi.

In Italia c'è forse il timore di dire troppo, un bisogno di adeguare anche le storie che si narrano a un pubblico indifferenziato, e questo può finire con l'indurre a costruire storie in cui il personaggio gay è un po' come il lettore etero si aspetta che debba essere...
No, io non ho questi problemi, e se c'è una preoccupazione di questo tipo non ne capisco il motivo. Non siamo più negli anni Settanta, e nemmeno negli anni Ottanta, e non credo che questo tipo di espressività sia censurata da chicchessia. Bisogna solo scriverle, queste storie.
Più vado avanti e più mi sembra che ce ne siano tante, di storie da raccontare veramente: spesso le cose che vivo, che sento, la vita che mi viene raccontata mi pare che offra spunti incredibili e bellissimi.
E poi nel 2007 sono anche un po' stufo di sentire raccontare storie di coming out, di "come lo dico a mamma e papà", di dolori psichici rispetto alla propria omosessualità, di rapporti tra gay e marchette... mi sembrano tutti cliché, sono storie in cui non mi riconosco... e poi credo che interessino non più dell'uno per cento della vita gay che si vive attualmente in Italia.
Io credo che manchi la rappresentazione della vita gay reale, sia nella politica sia nella scrittura. Non voglio generalizzare né fare accuse a nessuno, però un po' è così.

Prima hai fatto i nomi di White, di Cunningham, di Toibin: sono loro i tuoi modelli letterari?
Sì, ma ne aggiungerei un quarto, Alain Hollinghurst.
Secondo me si tratta di scrittori che sono di parecchio al di sopra degli altri, i loro romanzi, (anche i più controversi libri di White come Sinfonia dell'addio) sono straordinari, aggiungono una valenza enorme alla scrittura azzerando anche tutte le discussioni un po' aride sulla scrittura gay o non gay, sull'essere uno scrittore gay oppure no.
Loro credo che abbiano spazzato via tutta questa retorica antiquata, che trovo un po' assurda. Ognuno parla di sé, di ciò che vive e di ciò che è: è quindi ovvio che essendo gay rappresentino soprattutto la vita gay .
Dal punto di vista sentimentale, emotivo, la mia letteratura di riferimento in ogni caso è quella anglosassone, però i miei racconti sono un po' il riflesso di come ho vissuto.
Io nella mia vita, da quando ho saputo di essere gay, non sono stato mai, come dicono gli anglosassoni, "nell'armadio". Nei luoghi di lavoro, in famiglia, con gli amici ho sempre ritenuto che i migliori risultati si ottenessero essendo quello che si è. I vicini di casa, il macellaio, il barista sanno che sei gay, benissimo: nessuno ti toglie il saluto per questo. A nessuno frega niente, e forse è questa normalità la cosa più difficile da rappresentare; e non parlo di normalità come pacificazione ideologica e sentimentale, ma come il mezzo che ti permette di confrontarti con la realtà, con le persone etero, alla pari.
Così credo che ad una forma di parità bisogna arrivare anche sul piano politico, bisogna ottenere il matrimonio, non i Dico. Certo, in Italia in questo momento la situazione non è particolarmente eccitante, ma è così...

Quando parlavi di te pensavo al protagonista del racconto che dà il titolo alla raccolta, Prendere o lasciare. Quanto c'è di autobiografico nei tuoi racconti?
C'è qualcosa di me in tutti i personaggi e non si può limitare l'autobiografia ad un solo racconto. Nel momento che scrivi è il te stesso più interiore che scrive, quindi ovviamente sì, i racconti sono tutti autobiografici, e poi l'autobiografia non è solo nei personaggi, ma anche nei luoghi, nelle case dove si svolge spesso la socialità dei gay, nella rappresentazione del confronto tra generazioni che mi interessa molto, forse anche per la mia età.
Così in "Vecchie zie"lo spunto è un mio cugino gay, di vent'anni più giovane di me, che una volta mi ha raccontato di quanto gli era rimasta impressa, all'età di dieci anni, una mia visita insieme al mio fidanzato. Ci vedeva come due amici, ma avvertiva che c'era qualcosa di più, e questo lo turbava molto.
Anche in "L'età della ragione".che è un po' un omaggio a Sartre, rielaboro una mia esperienza e "Nella città giardino", provo a rappresentare la Garbatella, che è il quartiere dove sono nato.
Tutti i racconti sono autobiografici, perché sono tutti figli miei, anche se magari si tratta solo di spunti.

A volte della vita gay fai un ritratto impietoso...
Sì, però non mi pongo mai, credo, in una posizione giudicante, ma mi pare giusto rivendicare anche il diritto di satireggiare su noi stessi.
Il racconto a cui ti riferisci, "A... mare",è un po' tutto romano, perché tutto si svolge al "buco" di Castelporziano, ma è vero anche che lì si concentra spesso l'universalità dell'essere gay.

Il racconto è la forma a te più congeniale o stai pensando di passare al romanzo?
Non lo so, la dimensione del racconto mi è servita molto per mettermi alla prova, per capire se ero in grado di scrivere, e mi affascina molto.
Il romanzo mi spaventava e mi spaventa tuttora, comunque sto scrivendo qualcosa che non definisco romanzo per scaramanzia, ma diciamo che al romanzo somiglia molto.
Se il racconto è un incamminamento, il romanzo è un vero e proprio viaggio e quindi di devi attrezzare a tutti i livelli, di metodo, di scrittura. Diciamo che ci sto provando.

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