recensione diMauro Giori
Le diaboliche
Seconda fatica della coppia di giallisti francesi Boileau e Narcejac, Celle qui n’était plus , apparso nel 1952, ha fatto loro conoscere il successo grazie soprattutto alla riduzione cinematografica che ne ha tratto tre anni dopo Henri-Georges Clouzot, in un film il cui titolo è rimasto anche nell’edizione italiana del romanzo.
Celle qui n’était plus non si discosta dalle caratteristiche di fondo della loro narrativa, con le sue singolari ambientazioni in provincia, i suoi eroi moralmente ambivalenti, il rifiuto del personaggio classico del poliziotto (qui c’è solo un ispettore in pensione che si improvvisa detective privato ma viene immediatamente liquidato). Tipico loro è anche il mistero che spinge verso il soprannaturale, forse la parte più debole del romanzo, laddove dovremmo arrivare a credere all’opzione di cui sempre più si convince Ferdinand, e cioè che sua moglie Mireille, che egli è certo di aver assassinato con la complicità dell'amante Lucienne, torni in veste di fantasma.
Questa deriva irrazionale è bilanciata da suggerimenti psicoanalitici discreti ma inequivocabili, legati soprattutto all’ossessione per l’acqua di Ferdinand. Attraverso il rimando simbolico al liquido amniotico, questo leitmotiv ricorrente offre al lettore la chiave interpretativa per comprendere l’aspetto fondamentale del personaggio, nonché della vicenda: Ferdinand non è mai diventato adulto, soprattutto non è mai diventato uomo. Sono le riflessioni dello stesso Ferdinand a indicare la strada al lettore: «L’attrazione per l’acqua, e la poesia, sì, era proprio poesia, di tutti quegli arnesi verniciati, delicati, complessi. Forse dentro a tutto ciò c’era qualcosa di infantile, un sentimento che non si è riusciti a superare dall’infanzia». Al desiderio di sottrarsi ai traumi dell’infanzia e a quelli dell’esistenza si accompagna quello dell’annullamento dei propri ruoli (figlio, marito) e doveri, compresi soprattutto quelli della maschilità, in cui Ferdinand non sa eccellere: «Ma lui sa bene di non esser bello. E neanche troppo spiritoso. Come amante è piuttosto mediocre». Quando alla fine, a un passo dallo scoprire la verità, preferisce suicidarsi, il narratore esplicita ciò che così Ferdinand rifiuta definitivamente: «Era troppo difficile essere uomo».
La maschilità di cui difetta Ferdinand è invece attributo di Lucienne, virago d’aspetto e di carattere, che ha «braccia grosse, caviglie massicce, e non ha seno», e ancora alla fine fa mostra del «suo passo da uomo, ben saldo». Della moglie Mireille, Ferdinand può invece dire: «Era sensuale e così femminile! Tutto il contrario di Lucienne».
Attraverso queste annotazioni, e altre anche più esplicite, gli autori guidano il lettore a intuire la vera soluzione del mistero, e cioè che Mireille non è morta, e Ferdinand crede solamente di averla assassinata: in realtà era d’accordo con Lucienne per eliminare in modo insospettabile proprio Ferdinand. Lungi dall’amare l’uomo e da volersi sbarazzare di sua moglie, è proprio di Mireille che Lucienne è innamorata. O quanto meno è in coppia con lei che passerà il resto dei suoi giorni: il personaggio di Lucienne è infatti delineato a tinte fosche, come un’algida dominatrice, e rimane poco perscrutabile sino all’ultima pagina, perciò non è chiaro quanto il suo rapporto con Mireille sia effettivamente fondato sui sentimenti (che di certo sono invece alla base del comportamento di Mireille).
L’intreccio lesbico rimane in ogni caso sulla carta: nell’adattare il libro portandolo al successo, Clouzot interviene sul romanzo da par suo, senza inibizioni e rivoltandolo come un guanto, tra l’altro invertendo i ruoli fra i due coniugi, in modo da attribuire alle due donne la macchinazione apparente, e alla più tradizionale coppia Christina-Michel quella reale.