recensione diMarco Valchera
Scott Spencer, Un oceano senza sponde
Il nuovo romanzo di Scott Spencer, Un oceano senza sponde, pecca dello stesso problema di Al limite della notte di Michael Cunningham, le cui lodi, non a caso, campeggiano nella quarta di copertina: più forma che sostanza. Come l'autore de Le ore raffigurava nella sua opera il mondo ultra-patinato delle gallerie d'arte con stile freddo e impersonale, così anche nelle pagine di Spencer domina un certo artificio retorico e stilistico nel descrivere tanto i sentimenti omosessuali del ricco newyorchese Kip Woods quanto la realtà della finanza nella quale egli si muove. Abbondano, troppo spesso, similitudini ricercate ("la nostra essenza è indelebile quanto le impronte digitali", p. 347) o riferimenti letterari e culturali ("Vi prego di prendere quello che dico sul suo conto cum grano salis, che, come consiglia Plinio, è un rimedio efficace contro i veleni", p. 93) che, se da un lato, servono a mostrare l'altissimo bagaglio culturale del benestante protagonista, dall'altro eccedono in un virtuosismo un po' fine a se stesso.
È, inoltre, molto difficile riuscire a empatizzare con la devozione maniacale di Kip nei confronti dell'irritante ex compagno di college Thaddeus, uno scrittore dalla penna poco ispirata, sceneggiatore dal successo in forte declino a causa anche della sua intemperanza caratteriale, sposato con un'artista che fatica a sfondare e con due figli. L'adorazione nei confronti dell'amico cela - come spesso ci viene illustrato dallo stesso narratore autodiegetico - la mancanza di una reale accettazione della propria omosessualità: Kip disprezza coloro che ammettono pubblicamente di essere gay e preferisce reprimere la sua natura ricorrendo a incontri sessuali occasionali e al desiderio di mantenere la sua privacy. L'amore mai sopito che, però, egli nutre per l'uomo che ne è apparentemente inconsapevole si riaccende dopo una telefonata nella quale Thaddeus, alle prese con una tenuta di campagna che non riesce più a mantenere da disoccupato, gli chiede un aiuto economico: non solo Kip accorre ai suoi piedi ma compra anche parte dei suoi terreni. Da quel momento, inizia di nuovo a struggersi tra una visita e l'altra eppure, nonostante uno scandaglio emotivo di 300 pagine, non ci sentiamo mai dalla sua parte e la sua scelta finale, rimandata fino alla fine e inframezzata da sogni e desideri che avrebbero dato una reale svolta convincente alla trama (come nelle poche pagine in cui il figlio adolescente di Thaddeus è immaginato come una seducente Lolita), non ci sorprende né ci entusiasma.
La causa potrebbe essere anche una certa lentezza del ritmo narrativo delle vicende: il romanzo procede, difatti, per gran parte con un tono meditativo svelando precipitosamente nelle ultime pagine la Spannung, ovvero la motivazione dell'arresto di Kip, di cui siamo informati fin dalle prime pagine. E anche questa, però, è davvero poca cosa.