recensione diMauro Giori
La semana del asesino
Si tratta sicuramente di uno dei film più singolari della pur variegata filmografia di De La Iglesia. Il regista spagnolo parte da un soggetto che si presta a essere trasformato tanto in uno studio psicologico quanto in un film di genere senza troppe pretese, e pasticciando un po' tenta la prima strada senza disdegnare del tutto la seconda. Ecco dunque affiorare qua e là cruenti tocchi da horror splatter, che tuttavia puntellano un film che vorrebbe anche essere lo studio di un caso umano, come è più nelle corde del regista. De La Iglesia non tratta dunque il suo protagonista come un semplice serial killer buono giusto per inanellare sequenze truculente, ma tenta di rendere conto della sua situazione psicologica e, anche più, socio-economica, dimostrando come sempre una certa misurata inventiva dal punto di vista stilistico. Sullo sfondo di una Spagna in mutazione, oppressa dal regime franchista ma lentamente avviata sulla strada della modernità e della divaricazione tra classi sociali, a contare è allora alla fine soprattutto l'amicizia, tenera e singolare, dell'omicida proletario con l'omosessuale alto borghese, che sa tutto ma tace per amore, al punto da riuscire a indurre il serial killer a costituirsi. I tratti politici e sociali più comuni del cinema di De La Iglesia trovano così in questo film una delle loro declinazioni più strane, che trasformano questo prodotto in un ibrido indefinito che ha creato qualche imbarazzo alla distribuzione, che ha cercato di venderlo come un semplice esemplare del sottogenere trash-splatter (il film è circolato per lo più con il titolo Cannibal Man, ma di tutto si parla nel film tranne che di cannibalismo) scontentando ovviamente i fan del genere e rendendo un pessimo servizio a un regista che meriterebbe decisamente più attenzione critica, per quanto in questo caso sceneggiatura e interpreti siano insufficienti a sostenerne le ambizioni.