recensione di Mauro Giori
Angelo
Disseppellito dal Fondo Luchino Visconti dell'Archivio Gramsci, questo abbozzo di romanzo, probabilmente risalente alla metà degli anni '30 e abbandonato da Visconti al quarto capitolo, non rappresenta più di una curiosità, ghiotta finché si vuole, ma certo letterariamente non memorabile.
Il curatore dell'edizione, lo studioso francese René de Ceccatty, che ha pubblicato le spoglie mortali di Angelo con comprensibile entusiasmo (e contro il volere della famiglia Visconti, che in un nota si dissocia dall'operazione, cui pure ha dato il consenso), sostiene che "non possiamo fare a meno di ammirare la straordinaria maestria" del Visconti romanziere. Ma mi pare sia più onesto ammettere che i passi felici del romanzo sono assai rari rispetto alle cadute di tono di un Visconti che si sforza di imitare, con una certa sgraziata pesantezza, i modelli prediletti (Mann, Proust, Musil, con l'aggiunta di un po' di D'Annunzio). Anche senza dimenticare che si tratta solo di un abbozzo incompiuto, difficilmente il lettore proverà brividi estetici di fronte a espressioni quali «ha ceduto di colpo a una mazzata di sonno» (p. 42) o – detto di un cavallo – «sciabolò un getto diritto di orina ambrata sulla paglia» (p. 50).
Angelo esaurisce dunque il suo interesse nel fatto che porta una conferma ulteriore delle ossessioni di Visconti (incesto, debolezza delle figure paterne a tutto favore di quelle materne, omosessualità, ecc.), facilmente reperibili non solo nei suoi film, ma anche nella sua restante produzione letteraria, composta di qualche novella e di qualche abbozzo di romanzo, opere tutte inedite o pubblicate postume, con l'eccezione di un solo racconto.
In questi esperimenti letterari torna spesso ciò che troviamo anche in Angelo, a cominciare dalla fascinazione per il corpo maschile e dalla scoperta di sentimenti che la società non prepara a riconoscere, capire, accettare. Se Angelo, ancora bambinetto, si spaventa alla richiesta del fratello (eccitato dal contatto con la morbida paglia di un fienile) di masturbarlo e si mette a strillare (pp. 9-10), un po' più cresciuto e diventato un perfetto adolescente romantico-decadente, ipersensibile e vagamente destinato a una vita di inettitudine musiliana, prenderà a interrogarsi sull'attrazione-repulsione provata per «i fermenti brutali del corpo maturo» (p. 45) di Tanino, l'inatteso compagno di stanza la cui nudità lo turba nelle notti insonni. Lo stesso farà Tonino (che non è Tanino...), cresciuto isolato nel paese e i cui «rapporti con l'altro sesso rimanevano per tutti un mistero indecifrabile» (p. 51), che trova nel piccolo Angelo il suo solo amico. Tanto che, anche se non gli parla mai, quando improvvisamente il bambino manca al quotidiano appuntamento per prelevare la legna Tonino si sente inquieto, si accorge che il ragazzino gli manca, e fatica non poco a interpretare i suoi sentimenti. Lo ritroviamo così «accigliato, preoccupato soprattutto di non capire quel suo bisogno irresistibile di rivedere ad ogni costo il bambino» (p. 52).
Queste poche pagine prefigurano insomma un romanzo di formazione dalle sfumature autobiografiche, un Torless o un Ernesto per intenderci, che sarebbe sicuramente stato interessante vedere compiuto, ma che dubito avrebbe potuto aggiungere alcunché all'universo di Visconti.