recensione diFrancesco Gnerre
I racconti di San Francisco
La narrazione, divisa in brevi capitoli, sempre percorsa da leggerezza e umorismo, ruota intorno al condominio del numero 28 di Barbary Lane, gestito dalla signora Anna Madrigal, che in giardino coltiva marjuana (ma solo per sé e per i suoi ospiti) e accoglie i suoi nuovi inquilini facendo trovare, come benvenuto, uno spinello attaccato alla porta con lo scotch.
Qui si incontrano, intrecciano relazioni, vivono i loro amori e le loro delusioni Mary Ann, venuta da Cleveland in cerca di una vita meno noiosa, Mona, che non sa se arrendersi e tornare dalla sua antica amante o insistere in una più autentica realizzazione di sé, Brian, l’etero sfigato che ha difficoltà a rimorchiare donne anche in una città come San Francisco dove l’alta percentuale di gay maschi dovrebbe avere per lo meno dimezzato la concorrenza, Michael, detto "Mouse", il gay dolce e simpatico che tutti amano, ma sempre alla ricerca del suo uomo ideale, e poi ancora il bel Beauchamp, l’inquietante Norman ecc.
Il tutto in una città magica dove è bello sentirsi "deliziosamente single", dove i cable car sembrano salire fino al cielo, i gatti entrano dalla finestra, il macellaio parla francese e dove si possono vedere giovanotti pattinare per le strade vestiti da suore.
Quando nel lontano 1976 cominciò a scrivere questi "racconti di San Francisco", Armistead Maupin pensava ad una sorta di parodia della vita come veniva vissuta a San Francisco e in nessun'altra parte del mondo, e di conseguenza aspirava, al massimo, a un successo a livello locale. E invece questo romanzo (perché nonostante il titolo si tratta di un vero e proprio romanzo) e i successivi, da cui è stato tratto un fortunato serial televisivo (finalmente in programmazione anche in Italia su Gai.tv), ha affascinato e continua ad affascinare un enorme pubblico di lettori, in particolare gay, ma non solo.
Le ragioni di un successo così clamoroso credo che vadano cercate nella capacità dell'autore di cogliere una tendenza che dopo gli anni Settanta si è andata diffondendo sempre di più in tutto il mondo occidentale, un'ansia di liberazione da schemi prefissati, uno spirito di accettazione gioisa delle differenze, senza limiti di età, razza, genere e orientamento sessuale. "Il tipico fan dei Racconti di San Francisco", scrive l’autore in un Post-Scriptum del 1996, "è semplicemente una persona felice di essere se stessa - comunque essa sia - e di lasciare che gli altri si esprimano altrettanto liberamente”.
Il libro, tradotto solo ora in Italia, può sembrare in parte datato e non ha certo l’impatto che avrebbe avuto nel 1976, quando solo il termine "gay" era dirompente, ma la lettura è godibile e rimane intatta la freschezza e l’ansia liberatoria di 25 anni fa.
Certo sarebbero da indagare le ragioni di un così grande ritardo per la traduzione italiana, ma questo sarebbe un altro discorso.