recensione diDaniele Cenci
Solitudini imperfette [1998]
Già edito nel 1998 dalla peQuod, fucina di talenti, e ora riproposto da Baldini Castoldi Dalai (Milano, 2003), il romanzo di Mancinelli risuona dell'eco profonda de Il trentesimo anno della Bachman e di Un uomo solo di Isherwood, ma soprattutto di Camere separate di Tondelli.
Tutta la narrazione, che si snoda tra il convulso hinterland milanese, un soggiorno in Scozia e la rievocazione di un amore ormai concluso, ruota intorno all'inquieta avventura di un giovane, Mattia, "fossilizzato in una gabbia cittadina" che gli tarpa ogni volontà di cambiamento.
Il bozzolo della sua orgogliosa solitudine si rompe quando incontra Stefano, l'angelo ribelle, un randagio giramondo che si abbandona al flusso della vita pur preservando intatto il nocciolo della sua autenticità. Sulla metro, "sferragliante sepolcro" che vomita greggi di milanesi stressati, Mattia medita di non essere solo un "portatore di storie", ma di vivere finalmente la propria storia.
Caduto anch'egli nella rete del desiderio, ogni ora trascorsa lontano dall'altro gli sembra "un'ora rubata ad un'alleanza" e l'entusiasmo iniziale trascolora in una consapevole tenerezza: adesso non pare più necessario andare a caccia di sesso "come un lupo, alla deriva, scrutando nel buio per un paio d'occhi disperati, complici".
Le monotone giornate d'ufficio finalmente si nutrono del miraggio di un altrove per cui valga la pena amare e lottare, una "ultima Thule" che dispensi un briciolo d'immortalità agli impiegati".
Mattia però intuisce che, crescendo, le alternative diventano impercettibilmente "figure nella nebbia , fantasie di fuga".
Stefano e Mattia: due calamite che hanno calcolato "l'esatta distanza che permette loro di non respingersi", la loro coppia non si muterà in una prigione.
Eppure la bella favola si infrange sul muro del tradimento; un'altra mitografia dell'amore si dissolve, senza troppi affanni, come se qualcuno staccasse i contatti tra il cuore e il cervello del giovane protagonista: "avvertivo il peso di milioni di addii: t'accorgi che è finita da come cadi nell'indifferenza".
Il nostro anti-eroe avrà presto trent'anni, la vita rischia di trasformarsi "nei mille rigagnoli che compongono altri personaggi e altre storie", come è capitato a P., l'amico scrittore che "s'è sparato in vena milioni di parole" prima che l'Aids ne recidesse il filo.
Ultime battute: riappare in lontananza la città dove Mattia "avanza in un reticolo di linee senza fine", come cellula in viaggio "lungo vene e arterie, nel perimetro di un corpo, che forse non è più prigione", col desiderio ancora più forte di dividere con qualcuno la sua solitudine imperfetta.
Il romanzo è percorso come un leit-motiv dalla struggente memoria di Tondelli, riconoscibile nello scrittore P., maestro di vita del protagonista.
E proprio Tondelli aveva salutato nel 1987 l'esordio di Mancinelli nell'antologia Belli & perversi con queste parole: "Il pregio del suo racconto è anche quello di farci riflettere sull'inutile feticcio dell'autenticità e dell'originalità", e aveva osservato che un'imitazione intelligente e scaltra (in quel caso il Leavitt di Ballo di famiglia) restava una linfa vitale per la creatività.