recensione diVari
Tacchi a spillo
Pubblicata con lo pseudonimo di "Abril" e il titolo La rappresentazione dell'omosessualità: la legge del desiderio e la pirotecnica confusione di sessi e generi sul sito "Fuorispazio.net". Riedito per gentile concessione del sito "Fuorispazio.net".
"Da piccola quando vivevamo insieme non riuscivo ad addormentarmi finché non sentivo il rumore dei tuoi tacchi, in lontananza...".
Nella filmografia di Pedro Almodóvar Tacchi a spillo (Tacones lejanos, 1990) è un film emblematico, nell'ambito della discussione sulla ricerca dell'amore, sul travestitismo, sul doppio.
Almodóvar lo ha elaborato per un lungo periodo di tempo, interrompendolo e poi riprendendolo in diversi momenti. Perduta la grinta satirica e pungente, realizza un'opera che, per certi versi, sembra un remake di Sinfonia d'autunno di Bergman, senza raggiungerne però la profondità.
Bergman infatti è un maestro nel rendere le atmosfere sature di quelle tensioni, che poi sa far esplodere in mille vibrazioni. La sua capacità di sondare l'animo umano è veramente senza limiti.
Almodóvar traccia ritratti che sembrano prendere spunto da quelli del regista svedese, ma senza coglierne lo spessore. Il suo intento non è comunque quello di paragonarsi a Bergman, nonostante l'esplicita citazione.
La vicenda si accentra particolarmente intorno a due personaggi: Rebecca, giornalista televisiva, e Becky del Paramo, famosa cantante pop degli anni Sessanta. Le due donne si rincontrano dopo quindici anni di lontananza e chiaramente si ritrovano a dover mettere in gioco il loro rapporto, lasciato in sospeso per così tanto tempo.
Spunto per lo scontro sembra essere inizialmente Manuel, marito di Rebecca ed ex amante di sua madre. Per Rebecca il matrimonio costituisce una grossa vittoria ai danni della madre, con la quale si sente in eterna competizione, ma questa non è un'ottima base per un matrimonio, e difatti il suo è sull'orlo del fallimento. Ad un certo punto, Manuel viene assassinato e le ultime persone che lo hanno visto sono tre: Rebecca, Becky ed Isabel, collega di Rebecca al telegiornale e nuova amante dell'uomo.
Isabel è immediatamente esclusa dalla rosa dei sospetti e restano solo madre e figlia, fino al momento in cui, durante il telegiornale, Rebecca dichiara di aver commesso l'omicidio.
Questa confessione in diretta è una delle trovate migliori del film: Rebecca fissa la telecamera e, piangendo, si proclama colpevole. Alternata a questa scena c'è quella che mostra i tecnici ed il regista, che non interrompono la trasmissione per aumentare l'audience con questo spettacolo imprevisto e fuori dal comune.
È implicita, in questa sequenza, la critica nei confronti di quella televisione disposta a mercificare qualsiasi cosa, anche la più intima e personale, pur di raccogliere il maggior numero di spettatori. Sotto un'apparenza di oggettività, lo sguardo di Almodóvar si fa critico e sarcastico.
Comunque, per quanto riguarda Rebecca, il suo gesto oltremodo plateale e patetico appare interamente dedicato alla madre, alla quale vuole urlare la sua esistenza. È un grido di dolore ma anche un richiamo d'amore, verso una persona che per tutta la vita è fuggita via da lei, allontanata dagli uomini che amava e dalla carriera.
Nel film ricorrono flashback della sua infanzia che ci mostrano una Rebecca bambina, sofferente per la disattenzione della madre nei suoi confronti, e disposta a tutto pur di avere il suo affetto e la sua approvazione, anche ad uccidere.
Anche in Bergman c'è questo doloroso tornare all'infanzia, questo viaggiare nel passato, che fa riemergere alla coscienza traumi dimenticati e sepolti. A parte questo, ciò che Almodóvar sembra avere in comune con il regista svedese è appunto questa relazione problematica tra una madre famosa e assente ed una figlia, a cui in passato è mancato l'affetto e una figura materna cui appoggiarsi.
La citazione si fa comunque esplicita nella scena in cui Rebecca urla alla madre tutto il suo dolore e la sua frustrazione e, per farle capire ciò che prova, le porta proprio l'esempio di Sinfonia d'autunno.
L'amore che Rebecca prova per sua madre la spinge a diventare un'assidua frequentatrice di un locale dove si esibisce Femme Letal, un travestito che canta le canzoni di sua madre.
"...Perché in lui, o in lei vestito come Becky, vede sua madre. Come può non amarla? Si innamora, diventa sua amica, lo va a trovare in camerino ed una sera comincia a spogliarlo lentamente - è la sequenza più erotica - e finalmente lo possiede. Ha posseduto sua madre".
Indubbio, il sapore incestuoso di questo amplesso, che sembra essere la coronazione di tutti i sogni di Rebecca.
Le due protagoniste del film hanno modo di far risaltare alcuni lati del loro carattere, grazie al problematico legame che le unisce e che permette loro di interagire e di mostrare la propria fisionomia interiore. La vicenda sembra essere incentrata su uno scambio di ruoli, e il processo che si sviluppa è una specie di ritorno all'ordine naturale delle cose.
Becky, nella sua relazione con Rebecca, non si è mai comportata come una madre e Rebecca più che una figlia si è comportata come un marito possessivo e geloso. Il processo che si attua è lo sviluppo di un percorso interiore, che rende a questi due personaggi il loro ruolo naturale. Tale restituzione coincide con la morte di Becky, e chiude un cerchio apertosi molti anni prima.
Come si diceva, grazie alla relazione che le unisce, madre e figlia hanno modo di far emergere molto dei rispettivi caratteri.
In relazione con le indagini sull'omicidio, forse il personaggio più interessante di tutto il film è Femme Letal, alter ego del giudice Dominguez.
Il giudice è un personaggio incredibilmente serio, ma per certi versi ambiguo, vista la sua tendenza a travestirsi a seconda delle indagini che svolge. Ciò che stupisce è il fatto che, per la prima volta in un film di Almodóvar, un personaggio fa delle cose al di fuori degli schemi per un motivo diverso dal fatto che gli piace farle. Ovvero, il giudice si traveste non perché ci provi gusto (o non solo), ma per una ragione funzionale al suo lavoro, e già questa è un'indicazione che non va sottovalutata.
Questo personaggio è infatti l'aspetto più trasgressivo di un film che non lo è assolutamente, ma, giustificando razionalmente questa sua mania, il potenziale di trasgressione viene meno.
Dice il regista a questo proposito:
"È un giudice molto solerte. Quando indaga, per addentrarsi nella psicologia degli indiziati, ne assume le sembianze e comportamenti, cerca di viverne l'esistenza. E una volta, nel corso dell'indagine su Femme Letal, un travestito molto estroverso che si esibisce nelle imitazioni delle cantanti famose, in particolare Becky del Paramo, ne prende addirittura la personalità.
Ma c'è un'altra ragione per le trasformazioni del giudice: in fondo non è soddisfatto del suo lavoro, ha bisogno di esternare altri aspetti della propria personalità.
Se sei una persona qualunque, puoi farlo liberamente, ma se fai una professione pubblica devi occultarti. Un giudice, un capo di stato, un papa: se hanno voglia di uscire in tacchi alti, che possono fare se non assumere una doppia vita?".
Resta comunque il fatto che le sequenze migliori di tutto il film sono quelle in cui compare Letal. Questo personaggio, un'eterea creatura bionda dal trucco esagerato, che, fasciata in abiti pieni di lustrini, si esibisce sul palcoscenico del Villarosa. La sua ben controllata ambiguità lo rende estremamente affascinante, grazie a questa doppia natura che lo fa essere maschio e femmina senza vezzi o sbavature, ma nel completo superamento della differenza sesso/genere, di cui abbiamo già parlato.
Letal sul palcoscenico imita Becky, cantando in playback le sue canzoni e accompagnandole con gesti e movenze sensuali.
Due volte la vediamo esibirsi, la prima in cui canta "Un año de amor" di Mina, la seconda invece canta "Piensa en mì," tra le lacrime di Rebecca, profondamente commossa.
In tutte e due le esibizioni Letal seduce l'occhio dello spettatore con il suo fascino ambiguo, creando attorno a sé un'atmosfera rarefatta e misteriosa.
Attraverso il triangolo costituito da questi personaggi, Almodóvar continua il suo lungo discorso a proposito della legge e della colpa.
Infatti il nodo attorno a cui si sviluppa la vicenda è la morte di Manuel, ucciso da una mano misteriosa. Di tale omicidio è interessante l'uso che Almodóvar fa della colpa: le due protagoniste infatti, si servono di essa l'una contro l'altra, scagliandosi addosso reciproci sospetti e rimorsi.
Dice il regista:
"Ciò che mi attirava era la voglia di mostrare l'effetto che la morte può suscitare nei diversi personaggi, e il modo in cui ognuno di loro strumentalizza la possibilità di apparire colpevole o innocente per assecondare i propri interessi personali.
Ho volutamente rifiutato di giudicare, permettendo ad ogni personaggio di giudicare, castigare e perdonare se stesso. La giustizia, sempre che esista, non si esercita nei tribunali, ma nel fondo della coscienza degli individui, espressa con un linguaggio proprio, legato alla capacità di sentire la passione ed il dolore.
Così Rebecca e sua madre voltano le spalle alle leggi degli uomini e di Dio (il Dio cattolico che esiste nelle radici della cultura spagnola), per guardarsi finalmente negli occhi e fare i conti con loro stesse. Io confido nella fragilità dell'individuo e nella sua imperfetta naturalezza, più che nella solidità delle istituzioni. Senza il timore di apparire immorale".
Ancora una volta, l'unica legge che Almodóvar sembra riconoscere è quella del desiderio, che fa agire secondo parametri determinati dalla volontà di individui che agiscono in preda alle passioni e ai sentimenti.
Il tentativo del regista sembra di nuovo quello di costruire una grande storia di sentimenti, in cui amore e dolore, crimini e inchieste giudiziarie, sensi di colpa e redenzione si intrecciano.