recensione diVincenzo Patanè
Maurice
Largamente apprezzato alla Mostra di Venezia del 1987 - dove dove furono premiati i due ottimi protagonisti - il film ha trovato poi un enorme favore di pubblico, che ha benevolmente apprezzato la splendida storia d'amore, i momenti toccanti e, più che mai, il lieto fine.
In effetti bisogna ammettere che il film, sicuramente bello, ha significato molto sia per la storia del cinema gay che per un'accettazione comune dell'omosessualità, capace com'è di catturare consensi grazie all'accuratissima ricostruzione dell'epoca e alla fedeltà al romanzo.
Tuttavia, da un punto di vista più specificatamente filmico, Maurice rivela dei limiti evidenti, ricorrenti nella produzione di James Ivory, americano ma anglo-indiano per cultura. Ivory ha effettivamente ricreato magnificamente l'ambiente di un'Inghilterra perbenista (si pensi alle considerazioni del dottore che esemplifica quale abominio fosse considerata all'epoca - solo ufficialmente, si intende - l'omosessualità), un universo che sanciva il suo apogeo, pur covando in sé i germi della decadenza. E la fedeltà al romanzo è encomiabile, a parte la creazione dell'episodio dell'arresto di Risley per giustificare il cambiamento in Clive, dovuto a ragioni ben più sottili e sfumate.
Ma in questo universo, raffinato ed estetizzante, si ritrova in fin dei conti lo stesso pudore dell'epoca: i sentimenti delicati, filtrati sempre attraverso canali intellettuali, dànno raramente luogo a passioni palpitanti e le emozioni, tranne di rado, rimangono profonde, quasi nascoste, soffocate dal bisogno di narrare tutto, a scapito della reale interiorità dei personaggi.
E' come se tutto fosse smorto, piatto, sia i rovelli e i dubbi di Clive, sia il terrore della diversità di Maurice. Una superficialità che alla fin fine sminuisce la stessa portata del libro di Forster, che invece sottolinea con ben altra forza l'antitesi tra cultura e natura, tra razionalità e istinto, e le convenzioni sociali che strozzano le pulsioni individuali.
A parte forse le scene di sesso con il bellissimo Alec, in cui si ritrova quella fisicità corposa e tattile e quella trasgressione che manca visibilmente nel resto del film, ci si deve così contentare di languidi abbracci e di sguardi complici.