recensione diVincenzo Patanè
Pixote - La legge del più debole
Quando questo film, proveniente dalla misconosciuta produzione brasiliana, arrivò in Europa, mieté moltissimi premi. Piacque molto per la sua autentica intensità nel trattare il più tragico problema del grande paese sudamericano: l'irrefrenabile fenomeno della delinquenza minorile e la raccapricciante situazione carceraria, che vede spesso gli stessi poliziotti sopprimere i ragazzi.
Pixote è appunto introdotto dallo stesso regista che, prima dei titoli di testa, ricorda i termini della faccenda: la metà della popolazione è al di sotto dei 21 anni e più di tre milioni di bambini vivono soli, rimanendo vittime di delinquenti più grandi di loro, da cui vengono impiegati per rubare e uccidere, perché non sono colpevoli per la legge brasiliana a causa dell'età.
Il film nella prima parte ambientata nel riformatorio, risente un po' di questo taglio documentaristico, rientrando appieno in quel filone carcerario dove però ogni cosa, per aberrante che sia, sembra già vista altre volte.
Nella seconda è un cinema meno scontato, che evidenzia come questi ragazzi non sono mai stati bambini, ma sono nati adulti: in loro non c'è l'innocenza tipica dell'infanzia, come non c'è crescita né alcuna alternativa futura, e la loro unica colpa è quella di essere nati in condizioni miserrime e da genitori spesso mai visti.
L'omosessualità è uno dei tratti più distintivi della loro vita, accettata con naturalezza (Dito dice: "gli affari sono affari e il culo è il culo") ed è presente nel film in più versi. Se quella nel riformatorio - il ragazzino violentato a ripetizione dagli altri - rientra in canoni più ovvii, il tema si riscatta nel bel personaggio di Lilica, che piange per la morte violenta del suo amico e che si innamora, non riamato, di Dito, che però ci sta a far l'amore con lui. Sulle sue spalle c'è il peso di esprimere la difficoltà dell'essere omosessuale in quella realtà ("cosa può sperare un frocio dalla vita?").
Il protagonista è però Pixote, sperduto ed incapace di districarsi nel rimbombante vociare del mondo, che osserva con indifferenza abulica; ed è sua la scena più delicata, quando ritrova per un attimo la nostalgia del ventre materno vicino al seno di Sueli.