recensione diMauro Giori
Hormonsommersturm
Il tronco della storia è la quintessenza del Bildungsroman gay, e sa quindi inevitabilmente di già visto: adolescente finto etero (Tobi) ama migliore amico etero vero (Achim) e ammattisce per intromissione rivale donna. Alcune diramazioni sono altrettanto risapute, come quando Tobi finge di amare una fanciulla sin troppo comprensiva. Altre però prendono pieghe inaspettate.
È il caso dell’incursione nella storia della squadra di canottaggio rivale: doveva trattarsi di una squadra femminile, e invece in sostituzione ne arriva una formata tutta di adolescenti gay, chiamata evocativamente Queerschlag (gioco di parole dal potenziale volgare – su Querschlag – spiegato nel film quando gli ingenui campagnoli credono a un errore ortografico).
Sommersturm si sviluppa così lungo due direttrici. Una è quella di Tobi, che con estremo sprezzo del ridicolo non sa controllarsi, nonostante Achim gli abbia già detto chiaro e tondo che non c’è trippa per gatti. Le sue azioni, le sue scenate di gelosia, i suoi tentativi di ignorare lo stato delle cose e di negare l’evidenza anche quando tutti hanno capito tutto, diventano sempre più penosi a vedersi con lo scorrere dei minuti e presto lo spettatore, anziché immedesimarsi nelle tribolazioni di questo adolescente martoriato, finisce col desiderarne la scomparsa, quanto meno per liberarsi dal senso di imbarazzo che suscitano i suoi comportamenti beoti. A tutti capita di rendersi ridicoli durante l’adolescenza, ma non è da tutti essere completamente privi di senso del limite.
L’altra direttrice, più interessante, divertente e quanto meno indolore, è quella collettiva che mette a confronto le due squadre mediante caratterizzazioni e situazioni sufficientemente variegate da trovare qualcosa di nuovo da raccontare. Senza contare il potenziale intrinseco all’invasione di un terreno (lo sport) che i più ancora amano credere luogo di coltura di eterosessualità d.o.c. Se la squadra etero (Tobi a parte), nonché di provincia, si divide in ragazzotti che entrano nel panico di fronte ai colleghi gay, con cui devono dividere campo e gara, e altri più friendly o semplicemente indifferenti, i Queerschlag, che vengono da Berlino, sono un bell’esempio di teenager gay che, virili o effeminati che siano, fanno gruppo ma senza chiudersi al resto del mondo, non elemosinano accettazione, non chiedono scusa per il fatto di esistere e stanno già bene con se stessi, tanto da non necessitare di ostentare le loro manifestazioni d’affetto né di nasconderle. E magari nel tempo libero si divertono pure a sedurre gli etero più timorati.
Le dinamiche di squadra sono sviluppate in modo più credibile di quanto accada con l’esasperata ottusità di Tobi, la quale presto viene a noia. Il problema è che c’è un tempo per ogni cosa. E non intendo, col precetto biblico, un momento giusto in cui fare le cose, bensì un tempo massimo entro cui farle. La pazienza dello spettatore è legata a questo tempo, che nel caso di Tobi è drasticamente ridotto poiché non sussistono attenuanti, nemmeno le più canoniche (confusione personale, mancanza di modelli, timore di esser l’unico al mondo, assenza di alternative, paura di essere rifiutato da tutti, ecc.). Tobi sa benissimo di essere gay e di amare un etero che non lo ricambierà mai, e come non bastasse ha tutta una schiera di baldanzosi coscritti di pari orientamento sessuale a fargli da modello, a indicargli con pazienza (questa sì commovente) la via da seguire e a dimostrargli che può avere molto di più senza dover rinunciare a nulla, nemmeno allo sport. E in più c’è anche Leo che, senza dover invidiare nulla ad Achim, riserva a Tobi un’immeritata compassione ad ampio raggio (menù completo: parole di conforto, massaggi, sesso, consigli, affetto e ancora sesso, perché repetita iuvant). Se tutto questo dovrebbe farci comprendere l’intensità dell’infatuazione di Tobi per Achim, di fatto la rende solo meno credibile, soprattutto dopo che Tobi mostra di non aver imparato nulla dal pomeriggio liberatorio trascorso in compagnia dei Queerschlag e conclusosi nientemeno che con un ludus ineffabilis membris, lacertis, labiis. Eppure, anche dopo la felix coniunctio Tobi continua a dar fondo alla sua isteria come se nulla fosse accaduto.
Leo gli darà comunque una seconda occasione, tra l’altro davanti a un crocifisso che occupa mezza inquadratura solo per risultare meglio irrilevante. Poi riprenderà a guardarsi intorno. Bravo Leo, alla fine sei tu il vero eroe della storia, anche se un adolescente come te, nella realtà del mondo, probabilmente non è mai esistito. Ma pazienza, dato che il tuo ruolo è quello del principe azzurro versione età dell’acne che accorre in soccorso del brutto addormentato nel boschetto etero. Hai dato al rospo velato il bacio di rito, e anche quel di più che nelle fiabe non sta bene dire ma solo alludere in modo macroscopico, e nonostante ciò è rimasto rospo, e allora che la nevrosi faccia il suo corso. Dopo che ti ha trattato pure male in pubblico, nonostante tutto quello che hai fatto per lui assolvendo con encomiabile diligenza al tuo ruolo di benevola fatina, non possiamo che rammaricarci che il fulmine colpisca il pino anziché lui.
Nelle fiabe è d’obbligo pur sempre il lieto fine, e quindi anche Tobi arriva a dichiararsi a tutti, ma oltre il tempo massimo di cui sopra: ormai di lui francamente non ce ne importa più nulla, come pure, si direbbe, agli altri personaggi. Se tutti si sorprendono del suo coming out è infatti solo perché avevano ormai perso le speranze, trattandosi di un segreto di Pulcinella di cui erano al corrente anche i sassi.
E così il film si conclude con il promettente sorriso che Tobi rivolge alla propria casa, ma in realtà era terminato cinque minuti prima con un altro sorriso, quello, a fior di labbra, con cui Leo si compiaceva dello sguardo interessato di un biondo spettatore della gara, cui meditava evidentemente di rivolgere i suoi servigi fiabeschi. Felice e contento, come si conviene.