recensione diStefano Bolognini
Princesa. Il più celebre transessuale della canzone italiana
"Sono la pecora sono la vacca
che agli animali si vuol giocare
sono la femmina camicia aperta
piccole tette da succhiare".
Esordisce così (nell'album Anime salve, del 1996, di Fabrizio De André) "Princesa", la più celebre canzone d'autore italiana dedicata a un transessuale, ispirata a questa drammatica autobiografia romanzata.
Fernandinho, "la pecora e la vacca" nei giochi infantili, è un fanciullo veado, una bambina imprigionata nel corpo di un bambino.
Sin dai primissimi anni una cupa violenza fisica, verbale e psicologica lo accompagnerà, con pietre lanciategli per strada, la diffidenza degli altri fanciulli, i pestaggi a scuola, il divieto di travestirsi e la bruta iniziazione al sesso con uno stupro e, ancora, la frase di un familiare che risulterà penosamente profetica: "fai le cose del demonio, andrai in carcere o all'inferno".
Fernandinho scappa, nei primi anni '80, a João Pessoa e De André canta:
"nel dormiveglia della corriera
lascio l'infanzia contadina
corro all'incanto dei desideri
vado a correggere la fortuna".
Ma l'inferno la aspetta. Un taxi "e un pompino", un'officina per cercare lavoro e "due volte il culo", gli ormoni, la prostituzione e il denaro per
"il bisturi per seni e fianchi
in una vertigine di anestesia"
con una pericolosa operazione casalinga di un'amica transessuale.
Fernandinho, presto soprannominato Princesa, racconta la durezza della prostituzione, le botte della polizia, le violenze, i pestaggi e le rapine in un'esistenza senza spazio per il piacere, sogni o desiderio.
Il crescendo di violenze sembra non avere né una fine né un limite.
Il suo viaggio continua a Rio a San Paolo, a Barcellona, Roma e Milano senza che mai si interrompano i soprusi della polizia, i letti sfatti in piccoli bordelli luridi, il sangue versato, i clienti pronti a puntarle un coltello, i pugni e gli amanti gelosi e inetti.
È infinitamente realistico l'incubo claustrofobico di Princesa, che non versa che poche lacrime, e si offre al lettore come si offre ai clienti:
"sul palcoscenico della mia vita
- dice De André -
dove tra ingorghi di desideri
alle mie natiche un maschio s'appende
nella mia carne tra le mie labbra
un uomo scivola l'altro si arrende".
A Milano l'uso massiccio di eroina per resistere al freddo la distrugge: Princesa, ormai sieropositiva e in carcere per il tentato omicidio di una donna che le aveva rubato molto denaro, racconta, con l'aiuto del brigatista rosso Maurizio Jannelli, il suo inferno, che De André ha edulcorato.
Pricesa squarcia le tenebre sull'esistenza e il destino di molti transessuali brasiliani che "battono" ancora le nostre strade e sullo stigma che subiscono, sia nel loro paese d'origine che nel nostro Paese.
Il romanzo apre anche il dibattito a un argomento poco esplorato dalla letteratura italiana, e cioè l'Aids nella comunità transessuale decimata, dal 1982 (anno in cui Fernandinho si trasferisce dal suo paese d'origine) dalla pandemia.
Fernanda ricorda le manifestazioni delle famiglie, i cartelli che tappezzavano San Paolo ("Pulisci San Paolo, uccidi un transessuale a notte") e le bande dei picchiatori. Tra questi, e tra i padri di famiglia che scendevano in piazza contro la "vergogna" transessuale, anche i suoi clienti.
Infastidisce, nel crescendo del dramma e in un'intervista a Princesa contenuta nel testo, il fatto che l'autrice, ancora legata a cultura ed educazione d'origine, prenda nettamente le distanze dall'omosessualità e dagli omosessuali, comunità a cui non si sente di appartenere, ma che descrive come viziosi.
Princesa resta comunque a mio parere il romanzo sul transessualismo più interessante mai pubblicato in Italia.