recensione di Vincenzo Patanè
I segreti di Brokeback Mountain
Cosa penserebbe Marcel Carné della vittoria di I segreti di Brokeback Mountain alla Mostra del Cinema di Venezia? Nel 1982 il grande regista francese, scomparso dieci anni fa, fece leggere durante la cerimonia della premiazione un comunicato nel quale, come presidente della giuria, si dissociava fortemente dal verdetto della giuria stessa (che per la cronaca fece prevalere Lo stato delle cose di Wim Wenders). Carné avrebbe voluto che trionfasse Querelle, il film postumo di Fassbinder al quale comunque predisse un posto d'onore nella storia del cinema.
Evidentemente non era ancora il momento giusto per fare vincere un film così sfacciatamente gay. Le cose però cambiano, sia pure gradatamente. Nel corso di questi ventiquattro anni alcuni premi sono stati attribuiti ad attori e attrici in ruoli gay (come gli Oscar a William Hurt con Il bacio della donna ragno e Hilary Swank per Boys Don't Cry o il Leone a Javier Bardem per Prima che sia notte). Nel 1993 poi a Berlino l'Orso d'oro fu vinto da un film a tematica omosessuale: Il banchetto di nozze. Finora però mai aveva vinto una storia d'amore, indubitabilmente ben più coinvolgente di una commedia.
Personalmente quando lessi il breve racconto della settantenne Edna Annie Proulx, edito in Italia col titolo Gente del Wyoming, ne rimasi commosso e chissà quanti con me. Lo trovai asciutto e lancinante, essenziale eppure capace di scavare profondamente nei sentimenti. In appena una cinquantina di pagine questo racconto, pubblicato nel 1997 sulle pagine del New Yorker, riesce a dare vita a un mondo intero, ad una storia d'amore verosimile e commovente.
Così quando l'anno scorso iniziarono ad arrivare le notizie che Ang Lee aveva incominciato le riprese del film, la mia curiosità fu massima. Contavo i giorni che mi separavano dal vederlo. Dico la verità, ero un po' prevenuto: nel cinema, si sa, è fondamentale in quali mani capiti il romanzo, una cosa è aver visto Ernesto nelle mani di Samperi, altra cosa ciò che ne avrebbero ricavato per esempio Visconti o Jarman.
Il punto era: bisognava avere fiducia di Ang Lee, regista taiwanese trasferito nel 1978 negli Usa? Certo la sua carriera non è banale, anzi: 2 Orsi d'oro a Berlino (Il banchetto di nozze, appunto, e Ragione e sentimento dal romanzo di Jane Austen) ed alcuni Oscar per La tigre e il dragone più altri successi considerevoli, come Mangiare bere uomo donna, Tempesta di ghiaccio e il recente Hulk.
Bene, ora si può dire che mai scelta fu più azzeccata perché I segreti di Brokeback Mountain è veramente un ottimo film, magari non un capolavoro ma sicuramente un prodotto di eccellente qualità. La sua vittoria a Venezia è stata meritatissima, quantunque poi i media ne abbiano parlato tutto sommato poco (soprattutto specificando raramente il contenuto della vicenda) o ci è toccato leggere articoli di giornalisti inaciditi, come quello apparso su Toscana oggi e ricordato sul numero di ottobre di Pride.
Il film evidentemente ha dato fastidio a molti e la cosa sinceramente non può che farci piacere. Ebbene sì, anche i cowboy sono gay, come gli elettricisti e gli agenti di cambio, i professori ed i benzinai&! D'altra parte, il film di Ang Lee è la solo la scrollata definitiva ad un mito apparentemente etero ma in realtà da sempre tinto di gayezza. Dietro il machismo dei cowboy - protagonisti di un genere cinematografico che ha dato vita a capolavori - non è mai stato difficile vedere un'omosessualità più o meno latente. Come, per ricordare i casi più eclatanti, in Fiume rosso (1948), in cui Montgomery Clift è invaghito di John Wayne, o in film incentrati sulle relazioni strettissime fra due uomini inseparabili, come Butch Cassidy (1969), Uomini selvaggi (1971) o Zachariah (1971), che Vito Russo definisce "un'epopea sull'amicizia virile". Senza tralasciare, naturalmente, i casi in cui l'omosessualità è viceversa palese come il provocatorio Lonesome Cowboys di Andy Warhol (1968) o l'incredibile The soilers - parodia di un western di successo, The spoilers - una comica del 1923 di Hal Roach, nel quale un effeminato cowboy è attratto da Stan Laurel, il "suo eroe".
La sceneggiatura del film - che uscirà nelle sale il 20 gennaio, distribuito dalla Bim - riprende pedissequamente il racconto. Rivediamolo velocemente. Siamo nel 1963 nel Wyoming, uno degli stati meno densamente popolati degli Usa, vallate a perdifiato e cieli con nuvole viola o trapunti di stelle la notte. Due giovani cowboy, rudi e di poche parole - Jack Twist (Jake Gyllenhaal) e Ennis Del Mar (Heath Ledger) - accettano un lavoro dal rancher locale (Randy Quaid): dovranno fare i guardiani del gregge, difendendolo dai coyote, sulla montagna di Brokeback, vivendo assieme di giorno e andando a dormire in luoghi separati la notte. Bruschi e di pochi complimenti, giorno dopo giorno i due iniziano a conoscersi sempre di più finché fanno l'amore. Da quel giorno lo faranno sempre, senza però una parola di commento, lo fanno e basta.
Quando l'estate volge al termine, i due si salutano con apparente distacco e poi ciascuno va per la propria strada. Ennis rimane in Wyoming, sposa Alma (Michelle Williams), ha due bambine e va avanti facendo il bovaro quando capita; Jack finisce invece in Texas, dove si sposa con la ricca Lureen (Anne Hathaway), con la quale fa un figlio, e lavora per il suocero, spocchioso e prevaricante.
Passano quattro anni e un giorno una cartolina annuncia a Ennis che Jack passerà in Wyoming a trovarlo. Quando si rivedono, i due si abbracciano appassionatamente ("poi, e liscio come la chiave giusta che muove i perni della serratura, le bocche si unirono"), spiati dagli occhi sbigottiti di Alma. Da allora per molti anni, si vedranno regolarmente un paio di volte all'anno, con la scusa ufficiale di andare a pesca. Devono dunque accontentarsi di trascorrere qualche giorno assieme. O meglio: Jack vorrebbe una vita assieme a Ennis, non fregandosene di niente e di nessuno, mentre Ennis non crede che la cosa sia fattibile in un ambiente retrogrado come quello del Wyoming. Lui stesso ricorda con raccapriccio come da bambino abbia visto con i suoi occhi la punizione terribile che fu inflitta a due cowboy così. Né Ennis cambia idea quando lascia Alma e va a vivere per conto proprio, contentandosi di qualche rapporto sporadico con donne. Mentre Jack, da parte sua, va a sfogarsi con marchette in Messico.
Passati molti anni, una ventina, uno dei due morirà - molto probabilmente punito per la sua omosessualità - lasciando l'altro solo, con il ricordo indelebile di un amore supremo e di un'estate straordinaria a Brokeback Mountain.
Come già detto, i due sceneggiatori - Diana Ossana e Larry McMurtry - i quali per ben sette anni hanno bussato invano per trovare qualcuno che finanziasse il film, hanno rispettato la storia (nel film non sarà difficile ritrovare addirittura le stesse battute del racconto) dando solo più spessore alla storia fra Jack e Lureen, nel libro solo accennata.
Così è stata mantenuta la purezza del libro ed il risultato di questo western sui generis è veramente sorprendente. Ang Lee ha trovato la maniera giusta per raccontarci questa straziante storia d'amore, che ripercorre peraltro una costante del suo cinema: la ricerca e l'affermazione di sé e del proprio modo di essere. Merito anche dei due splendidi protagonisti, molto bravi nel portare avanti convincentemente una storia che dura un ventennio: il ventiseienne australiano Heath Ledger, attore lanciatissimo presente a Venezia con ben tre film, e il coetaneo Jake Gyllenhaal, il protagonista del mitico Donnie Darko.
Lee ha optato dunque per una messa in scena semplice, adeguata alla semplicità dei due protagonisti, i quali non hanno altri valori se non quelli del rodeo e sembrano quasi inconsapevoli, Ennis in particolare, della forza della loro passione, lasciando quasi che le cose accadano.
Il film (girato in Canada) punta tutto sul rapporto fra le emozioni dei personaggi e l'immensità degli spazi vuoti - una vastità in cui le persone mettono in gioco le loro identità per lasciarsi finalmente andare, sbarazzandosi dei ruoli sociali - contrapposti al chiuso delle case, opprimenti come le idee asfittiche di quel mondo provinciale e grezzo. Questo riflette compiutamente quello espresso dal libro ("La camera puzzava di sperma e fumo e sudore e whisky, di moquette vecchia e fieno acre, cuoio di sella, sterco e sapone da poco"), nel quale la passione che sgorga fluente è forse l'unico mezzo per ribellarsi verso i ruoli codificati dalla società.
Un film eccezionale, dunque, nel quale trovano posto nello stesso tempo una forte, pungente fisicità - come nell'eccezionale scena del primo rapporto fra Ennis e Jack, una delle più belle mai viste nel cinema gay - ed un lirico spiritualismo. Brokeback Mountain è infatti innanzitutto una dimensione dell'anima, il posto segreto che noi tutti dovremmo avere, il luogo dove tornare per trovare se stessi.
Per lo spettatore è facile parteggiare per Jack, colui che sacrificherebbe ogni cosa per avere l'altro sempre accanto a sé. Ma bisogna anche capire Ennis, che si dimena in un mondo pregno di puritanesimo e di pregiudizi. Quello, per intenderci, che nel 1998 ha permesso proprio in Wyoming che il giovane Matthew Shepard fosse torturato e ucciso solo perché era gay. Un posto dove oggi la scrittrice Sandy Dixon sostiene di non avere mai visto due cowboy gay e che accusa quindi Hollywood di defraudare lo stato di un patrimonio culturale. Osservazione peraltro molto curiosa, visto che due rodeo riders gay hanno dato un forte contributo alla realizzazione del film.
Nella conferenza stampa dopo la vittoria veneziana Ang Lee ha detto che vorrebbe che la gente leggesse il film non come una storia fra gay ma come una potente storia d'amore. No, personalmente non ci sto: è una grande storia d'amore, certo, ma come solo due uomini possono viverla. E' il nostro film, non perdetelo.