Hellbent, il "primo" horror gay

20 maggio 2007


Non contento delle consistenti allusioni gay contenute in film come Nightmare 2 e Jeepers Creepers 2, qualcuno ha pensato bene di produrre il primo horror apertamente gay della storia. L'idea di base era semplice: riciclare le regole del filone aureo del cinema di paura degli ultimi trent'anni, lo slasher, nel quale degli adolescenti vengono massacrati da un serial killer o da un mostro (di norma i confini tendono a sfumare). Basta far sì che i ragazzini siano tutti gay e il gioco è fatto. Oltretutto, il genere ha sempre puntato sull'esibizione pruriginosa di giovani corpi neopuberi (di solito è proprio per questo che vengono fatti a pezzi) e si è sempre prestato a imbastire discorsi sulla sessualità e sulla repressione: si capisce dunque quale potenziale vi risieda per un film destinato al pubblico gay.

Considerato tutto ciò, stupiscono due cose: che nessuno abbia pensato prima a produrre uno slasher gay, e che chi ci ha pensato abbia potuto mancare in modo così clamoroso il bersaglio. Se il progetto è fare un film di genere, seguendone le ferree regole, nessuno si aspetta un capolavoro: basta solo un po' di perizia nello scopiazzare i modelli. Ovvero, in questo caso, basta inventare un antagonista degno di questo nome, sottoporgli un po' di ragazzini porcellini da uccidere, e fare in modo che quando il villain finisce KO venga lasciato tranquillo, arma in pugno, finché si riprende. E allora cosa non ha funzionato?

Anzitutto il cattivo: quale spettatore gay può spaventarsi nel vedere un palestrato che gira a torso nudo? Dovrebbe aver paura solo perché ha una mascherina rossa con due corna?

I ragazzini non mancano, e sono porcellini al punto giusto: la vulgata vuole (non del tutto correttamente) che negli slasher non si venga uccisi se non si fa sesso, o se, quanto meno, non lo si desidera ardentemente. E nei film gay (prodotti da/per gay) non esistono personaggi che non fanno sesso, o non lo desiderano ardentemente. Però nei film gay, soprattutto in quelli "impegnati", i personaggi tendono a essere verbosi e a prendere sul serio le loro vicissitudini personali, le loro depressioni, le loro delusioni, ecc. Negli slasher no. I personaggi di Hellbent, invece di concentrarsi sull'intreccio horror (cioè sul cattivo), si prendono sul serio come quelli dei film gay, e iniziano a propinare le loro lagne (sempre le solite), il che stronca il ritmo e l'interesse del film. Perché alla fine il problema è semplicemente questo: il film è di una noia mortale. Di tanto in tanto il regista sembra ricordarsi che non sta girando solo l'ennesimo film per festival gay, ma anche un horror, e quindi ricompare il diavoletto che ammazza qualcuno, senza troppa convinzione. E ammazza del tutto casualmente, di modo che gli autori rinunciano a qualsiasi riflessione sulla sessualità, sull'omofobia o sull'edonismo sfrenato di molti ambienti gay, tutti aspetti che vengono adombrati qua e là (giusto perché si senta che è un film gay) ma sui quali non viene condotto nessun lavoro coerente.


Personalmente, poi, non ho mai capito i film in cui uno strafigo A viene abbordato da uno strafigo B, che per qualche motivo dovremmo credere uno scorfano. Il copione, in questi casi, prevede che B cerchi di sedurre A convinto di non avere speranze, finché A scende dal suo piedistallo per concedersi: è la sua buona azione per evitare le fiamme che attendono i sodomiti impenitenti. Deve essermi sfuggita qualcuna delle molte sfumature della sospensione dell'incredulità, cioè di quella legge per cui certe aporie del racconto o della messinscena divengono trascurabili perché rispondono a una convenzione narrativa. Ad esempio il fatto che dieci persone di dieci nazionalità diverse parlino tutte la stessa lingua, giusto per non complicare la vita allo spettatore. Probabilmente c'è una sottoregola anche per i maschioni: anche se sono tutti perfetti, dobbiamo pensare che alcuni di essi non lo siano (di solito si riconoscono perché portano gli occhiali). È quanto accade anche in Hellbent, che è pure uno di quei film in cui gli omosessuali si travestono, e più si travestono più sono depressi. Ed è anche uno di quei film dove gli omosessuali si coprono di pelle e di catene in misura inversamente proporzionale all'autostima che provano per la propria virilità. Inoltre, è uno di quei film in cui una scena non necessariamente ha un nesso logico con quella che precede o che segue.



Non racconto il finale, per non rovinare la terza scena (dove si capisce tutto, cioè chi morirà, in che ordine e come andrà a finire il film).
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