Satirycon, ovvero Pasolini nell'antica Roma tra fascisti golpisti e collusioni democristiane

18 agosto 2013

Quando il fumetto erotico all’italiana sceglieva la via dello humour, di solito perseguiva una comicità da trivio o da barzellette da officina di periferia. Al di là dell’errore ortografico del titolo (che inverte i e y), magari anche voluto, Satirycon mostra invece ambizioni superiori scegliendo la via molto più impegnativa della satira, e si deve riconoscere che i risultati sono a tratti convincenti, persino sorprendenti se si considera che in genere questi prodotti non ambivano – se non collateralmente – a colloquiare con lettori dalla scolarità molto superiore alla licenza media. Non che manchino le situazioni da osteria, ma gli autori si concedono il gusto di prendere di mira una serie di personalità della cultura e della politica del tempo in modi che riescono talvolta a essere pungenti.

Il bersaglio principale è Pier Paolo Pasolini, coinvolto nel ruolo di Petronio Arbitro e rappresentato come un erotomane perditempo, un intellettuale dal finto impegno politico che firma petizioni a caso senza leggerle, si paragona a Gesù e finge solamente di interessarsi alle sorti del popolo avendo in realtà in uggia quelli che chiama «estremisti» (vale a dire i veri rivoluzionari), perché a dispetto delle apparenze è perfettamente integrato col potere, da cui è peraltro sfruttato all’occasione. Inoltre scrive versi orrendi e si vendica degli sgarbi subiti stendendo racconti satirici, come appunto il Satirycon che scrive mentre fa anticamera in attesa di essere ricevuto da Nerone.

Intorno a Pasolini/Petronio si muovono vari personaggi più o meno facilmente identificabili. Sul piano del romanzo che Petronio sta scrivendo ritroviamo ad esempio Eumolpo/Allen Ginsberg nei panni del poeta d’avanguardia disprezzato da tutti e Andreotti in quelli del volgarissimo servo arricchito Trimalcione, che allestisce un pranzo luculliano e orgiastico. Sul piano della realtà, ovvero della cornice in cui lo stesso Petronio è coinvolto, si disegna invece il quadro politico del tempo, sia pure (se bene ho identificato gli attori principali del dramma) guardando a qualche anno prima. Petronio/Pasolini è infatti oggetto di disprezzo da parte del prefetto del pretorio Tigellino, che si aggira in camicia nera (a pois) a capo dei suoi miliziani e ha il volto di Junio Valerio Borghese, protagonista di un celebre tentativo di golpe alla fine del 1970. Tigellino complotta infatti per organizzare un colpo di stato (in realtà controllato dall’alto) e sogna il giorno in cui il potere sarà dato all’esercito. Il suo scopo è deporre Nerone, altro erotomane nullafacente che ha il volto di Mariano Rumor, il quale tra il 1969 e il 1970 era stato più volte presidente del consiglio.

Le vicende inquadrate erano tuttavia d’attualità, giacché alla fine del settembre 1974 Andreotti aveva trasmesso alla magistratura una discussa nota informativa del Sid sui progetti di golpe susseguitisi negli ultimi quattro anni, rinfocolando per settimane le paure circa la possibilità di nuovi tentativi eversivi dopo che ad agosto sembrava essere stato prossimo un nuovo tentativo eversivo. Il golpismo neofascista e la ripresa dello squadrismo lungo tutti gli anni della strategia della tensione erano ormai fatti assodati, al punto da sembrare strutturali a un Pasolini che poteva parlare, in un celebre articolo apparso sul «Corriere della Sera» nel novembre 1974, di «una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere». È a partire da questi fatti (nonché dalla misteriosa morte di Borghese nell’agosto di quello stesso anno) che gli autori hanno evidentemente avuto l’idea del fumetto, giunto in edicola nel gennaio del 1975.

Oltre a essere stato a suo tempo d’attualità, per il lettore odierno Satirycon si ammanta persino, suo malgrado, di un mesto sentore profetico giacché alla fine il fascista Tigellino, approfittando del vuoto di potere lasciato dal distratto Nerone, sancisce l'eliminazione di Pasolini. Essendogli lasciata facoltà di scelta sul modo in cui essere messo a morte, lo scrittore decide di morire di sfinimento nel mezzo di un’orgia che a posteriori pare (mutatis mutandis) l’involontaria parodia del capitolo più famoso di Petrolio. Parodia in chiave eterosessuale, perché sul piano dell’eros gli autori si divertono a ribaltare le attese più ovvie. Tutti i personaggi la cui omosessualità era notoria o chiacchierata, e cioè Pasolini, Ginsberg e Rumor, sono ritratti come eterosessuali compulsivi (benché il primo sia disegnato col polso perennemente a novanta gradi e sia noto come «Petronio er frocio»), mentre a essere un impenitente “sodomita” è Trimalcione/Andreotti, che giunge persino a farsi “fistare” dal suo medico e a travestirsi da donna per farsi montare da Eumolpo.

Nell’insieme dunque un prodotto singolare, meno volgare della media anche nel linguaggio (un misto di brevi sprazzi di latinorum e di abbondanti intercalari romaneschi), che prosegue degnamente la serie Tabù, una delle più ambiziose fra le moltissime sfornate in quegli anni, con le sue vicende che spesso parodiavano classici della letteratura di ogni epoca e paese.

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