recensione diMauro Giori
Beefcake all'inglese
John Barrington fu un artista fallito, uno scrittore fallito, un impresario teatrale fallito. Una cosa però questo dandy londinese mellifluo e dinoccolato riuscì a farla con successo: il pornografo. Ossessionato fin da ragazzo dalla bellezza maschile e abituato a scattare foto dei suoi amanti, o a sedurre bei ragazzi con il pretesto di sessioni fotografiche, Barrington si ritrovò con un repertorio consistente di immagini da smerciare ai collezionisti, quanto meno come ripiego per sopravvivere dopo che la sua agenzia improvvisata venne chiusa, i manoscritti dei suoi libri furono rimandati al mittente e i suoi drammi furono stroncati. Senza contare l'anno di galera scontato per frode fiscale. Dopo la guerra, in parallelo con più noti colleghi come Vince o Bob Mizer negli Stati Uniti, Barrington iniziò così a sfruttare un mercato avido di immagini sempre nuove e sempre più ardite fondando, tra un guaio giudiziario e l’altro, una serie di riviste (a partire da Male Model Monthly, la prima del genere in Gran Bretagna) e inviando cataloghi via posta. La sua vita fu esattamente quello che ci si può aspettare da un uomo del suo mestiere, cioè un continuo sforzo di adattamento a quanto mano a mano il mercato chiedeva e consentiva: dal costumino al nudo all’erezione; dalle lotte greco-romane al sesso esplicito; dalla fotografia alla pellicola al video. Un adattamento dovuto a rassegnazione: immodesto com’era (dopo aver visto una mostra di Mapplethorpe, appuntò nel suo diario: «excellent – but I’m so much better – frustration!»), Barrington si riteneva un artista e sognò per tutta la vita di poter abbandonare la pornografia per imporsi come scultore, pittore, scrittore, drammaturgo o regista di cinema, a seconda degli anni.
Smith ricostruisce ovviamente anche la vita privata di Barrington, a cominciare dalla miriade delle sue infatuazioni di breve durata, culminate in quella per un modello eterosessuale conclusasi con un piano delirante appuntato lucidamente nel diario: cercare di ingelosirlo sposandone l’ex fidanzata. La follia ripagò: Barrington non riconquistò il suo Peter, ma in compenso si sposò e iniziò una doppia vita per lui rassicurante (dal momento che non aveva mai accettato la proprio omosessualità), portata avanti per i successivi 35 anni coniugando in modo funambolico famiglia (dalla moglie ebbe anche due gemelle) e modelli. A cominciare dal viaggio di nozze, fatto a Cannes apposta per reclutare nuovi ragazzi sulle spiagge della Costa Azzurra.
Smith ha il merito di non provare nemmeno a scrivere un’agiografia. Fin dalle prime pagine, anzi, mette bene in luce i limiti intellettuali, umani e professionali di Barrington, eccentrico fino all’estenuazione e alla recita, ammaliante ma inconsistente, ambizioso ma ingenuo (soprattutto di fronte alla legge), ricco di ambizioni ma incapace di soddisfarne alcuna, schizofrenico nel suo ménage famigliare e abbastanza cinico da usarlo per facilitare l’avvicinamento dei giovani più sospettosi. Inoltre era molto idiosincratico rispetto al mondo gay, che nondimeno sfruttò per decenni onde soddisfare tanto il suo eros insaziabile quanto le proprie tasche, giungendo anche a organizzare in Francia un giro di prostituzione per facoltosi americani in vacanza. Come non bastasse, era decisamente disonesto, tanto con i colleghi (vendeva spesso come sue foto di altri, o riproduzioni di disegni di Cocteau e di Tom of Finland all’insaputa degli autori) quanto con i clienti, cui rifilava stampe di bassa qualità per risparmiare il più possibile sui costi.
Il libro si divide fondamentalmente in due parti. Da un lato vi è lo spaccato della vita londinese durante la guerra, a suo modo affascinante e piena di vitalità bohémienne, nella quale il giovane Barrington si immerse mentre ancora studiacchiava, sognando di vedere i suoi libri nelle vetrine di Charing Cross e di sfondare nel mondo teatrale del West End, portandosi intanto a letto senza difficoltà mezza Londra e tutti i corpi (letteralmente e figuratamente) dell’esercito in stanza nella capitale. E tra un modello anonimo e l’altro gliene capitò anche qualcuno destinato a miglior fama, come il diciassettenne Terry Parsons, che aveva due grandi doti, una innominabile e l’altra vocale: la sua, nel dopoguerra, fu infatti una florida carriera musicale, realizzata col nome d’arte di Matt Monro una volta lasciatosi alle spalle le “sperimentazioni” giovanili. È questa una parte vitale e piena di promesse, che seduce il lettore quanto sedusse a suo tempo lo stesso Barrington.
Nella seconda parte, e cioè subito dopo la guerra, la vicenda prende però una piega molto malinconica, perché il successo affaristico ed economico di Barrington non modifica la parabola di un’esistenza di serie B in cui di tanto in tanto fanno capolino figure di spicco come Noël Coward, Jean Cocteau, Gore Vidal o Alain Delon, discese da cielo in terra a miracol mostrare a chi, per tutta la vita, rimase a contemplare l’empireo cui avrebbe tanto voluto accedere. Il fatto è che, pur avendo saputo sfruttare le potenzialità del suo mestiere (a tratti guadagnò molto bene, anche se non seppe mai amministrarsi, e si portò a letto più modelli di quanti pesino Leporello saprebbe contarne), a differenza di altri colleghi Barrington non ne trasse mai pieno appagamento perché le sue ambizioni, mai realmente abbandonate, puntavano altrove e non seppe persuadersi che la causa del suo fallimento non dipendesse solo dalla sfortuna (che pure non gli mancò).
Sono soprattutto le molte pagine del diario di Barrington citate nel volume a restituire una testimonianza di prima mano di un mondo che non c’è più e che è ormai investito di una sua aura romantica, anche quando si tratta delle imprese dei pionieri della pornografia. E forse sarebbe stato più interessante pubblicare i diari, con le necessarie annotazioni, anziché scrivere una biografia che comunque riposa essenzialmente sulle testimonianze del solo Barrington, sia pure opportunamente demistificate.