Hombres: gli uomini di Verlaine

13 settembre 2013

Verlaine trascorse gli ultimi dieci anni della sua vita tra acciacchi e malanni vari, senza farsi mancare niente: cirrosi, sifilide, artrosi. Nonostante tutto riuscì a continuare a scrivere, fra l’altro le due raccolte Femmes e Hombres, dedicate rispettivamente a celebrare le bellezze del corpo femminile e di quello maschile, e le gioie del sesso eterosessuale e omosessuale. Non è ovviamente quel genere di componimenti per cui un poeta viene laureato e su cui uno studente di liceo viene formato. Soprattutto nel caso di Hombres. E infatti Femmes venne pubblicato già nel 1890, quando Verlaine era ancora in vita, mentre Hombres, pur essendo pronto già nel 1891, uscì solo postumo nel 1903 e ha poi avuto vita alquanto stentata. Le edizioni integrali si contano sulle dita di una mano, in Italia (dove ne sono uscite una nel 1963 e un paio più recenti ma già fuori commercio) come altrove. Analogamente, le antologie di Verlaine hanno a lungo preferito farne una sommaria selezione, a partire dalla prestigiosa Pleiade fino ai corposi florilegi stampati da Garzanti e da Mondadori nei Meridiani, che includono solo gli esempi meno scabrosi e il celebre Le sonnet du trou du cul giusto perché scritto a quattro mani con Rimbaud.

Il problema, si sarà compreso, non è certo lo spazio (Hombres raccoglie in tutto solo quattordici componimenti) bensì il contenuto. La poesia d’apertura, basata sulla comparazione fra le grazie femminili e quelle maschili (tenzone ripresa nel decimo componimento), in cui le seconde trionfano per bellezza estetica, non è proprio per educande ma nemmeno eccede per oscenità e si esaurisce in tre quartine che offrono il più condensato compendio di storia dell’omosessualità mai visto, passando dall’antica Grecia a Shakespeare a Ludwig II di Baviera (cioè alla contemporaneità, per Verlaine). Un testo dunque che può essere antologizzato senza provocare rossori impudichi. Ma nelle poesie successive Verlaine si fa sempre più disinibito, ad esempio catalogando nostalgicamente i gamins di cui ha memoria, ciascuno con i suoi pregi (soprattutto fisici), il suo carattere e il suo modo di fare l’amore (la poesia è mozartianamente intitolata Mille e tre). Poi vi è una serie di canti in lode delle bellezze anatomiche più specificamente maschili, descritte in tutti i loro dettagli più minuti e celebrate in tutti i loro possibili usi, e in cui Verlaine può scrivere senza freni «le vit, mon idole» o immaginare «les servants de la bonne Église / Dont le pape serait Platon / Et Socrate un protonotaire».

Qui il selezionatore per messali dei devoti della letteratura più alta può procedere solo ad accurata cernita a fini di mera documentazione, scegliendo il male minore senza mai dare l’impressione che questi possano essere più che scherzi trascurabili di un poeta che ovviamente ha dato il meglio altrove. Ma per una volta divertirebbe veder stampata un’antologia di Verlaine con tutto Hombres e solo una scelta di Fêtes galantes o delle Romances sans paroles, al modo in cui certi romanzi di fantascienza sognano talvolta di mondi al contrario, giusto per ricordarci che nulla è assoluto e si deve necessariamente dare nella forma cui siamo stati abituati dalla tradizione.

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