recensione di Marco Valchera
Goditi il problema
Il romanzo d’esordio di Sebastiano Mauri, regista e artista visivo, Goditi il problema, potrebbe essere perfettamente inquadrato attraverso le parole che incorniciano il titolo: “La commedia indiavolata di un single seriale a un passo dalla monogamia”. È, dunque, espresso fin da subito il tono che pervade l’intera opera: un’ironia tagliente, un comico assoluto, per dirla alla Baudelaire. Si ride spesso durante la lettura, per le divertenti considerazioni del protagonista (su tutte l’elenco dei finali tragici dei film a tematica omosessuale) e per le scene che lo vedono coinvolto, a partire dall’infanzia. Quella di Martino Sepe è una sorta di famiglia Addams milanese ancor più umanizzata e sprezzante dei valori tradizionali propri dei Bibì, i borghesi bigotti, novelli Babbani di potteriana memoria: ad esempio i tre fratelli che cenano insieme ad una scimmia indonesiana, Clarissa, che ruba il pollo dal piatto per strofinarselo addosso, o l’asilo a cui sono iscritti, in cui campeggia il poster di Janis Joplin e i maestri sono appartenenti alla cultura hippie. In questo ambiente libero e sui generis il bambino ha la possibilità di giocare con la sua bambola preferita, Barbie Malibu, ma, spaventato dall’essere gay, decide, in una scena tragicomica e toccante, di annegarla, per annegare anche le sue pulsioni.
La narrazione, un lungo flashback, che parte da un mattino, in cui Martino si risveglia a New York in un letto sconosciuto tra un uomo e una donna, si snoda vivacemente tra fallite relazioni (la top model più desiderata al mondo, l’attore Alejo) e continui spostamenti, a dimostrazione che, per prima, la serenità deve essere conquistata interiormente. Nell’inarrestabile fuga da sé, Martino cerca di portare a termine il proprio progetto: girare un film che sia il racconto della sua vita. E la dimensione cinematografica è protagonista assoluta delle pagine di Goditi il problema: come un novello Almodovar, Mauri riprende, con spietata ironia, le vicende del suo personaggio, con riferimenti a Il diavolo veste Prada (il terribile boss Lance Mayfair è modellato sulla Miranda Priestley della Streep), Woody Allen, Shame di Steve McQueen (la scena nella dark room) e un finale molto ozpetekiano.
Goditi il problema è una piacevolissima prima prova e, al contempo, una novità nella letteratura italiana: Sebastiano Mauri si dimostra autore accorto e brillante nel creare un’esilarante commedia, in cui l’omosessualità è ben lontana dal tipico ritratto dei mass media italiani. Il riuscire ad accettare se stessi e la realtà che ci circonda, il provare gioia e piacere, ma anche il dolore della perdita e dell’incertezza, si traducono nell’invito finale: bisogna godere, il più possibile, della vita.