recensione diMauro Giori
Sade, prossimo nostro?
La serie, iniziata nel 1971, prende spunto molto liberamente dal personaggio del divino marchese e dallo spirito libertino delle sue opere. Niente filosofia, beninteso: Klossowski, Bataille, Deleuze e gli altri esegeti del mucchio sadiano non sono di grande utilità per affrontare questo fumetto. Molto più semplicemente, Sade è il pretesto per rendere esplicito e autorizzato quello che, nelle forme e con i risultati più vari, i fumetti erotici italiani hanno sempre cercato di fare, e cioè giocare con ogni forma di sessualità, guardandosi bene dal limitarsi alla sola eterosessualità nuziale per saltabeccare in ogni vizio, peculiarità e orientamento possibile, essendo gli autori ben consapevoli che i loro potenziali lettori erano i più diversi. Sicché nell’insieme questi fumetti offrono cataloghi ben più ampli ed esaustivi di Krafft Ebing e Freud messi insieme.
E possiamo aggiungere anche Hirschfeld. Se tuttavia inoltrarsi nel sadismo o nel masochismo era pressoché banale (il fumetto erotico lo aveva fatto sin dalle sue origini, poiché derivava dai confratelli neri di qualche anno precedenti), ben più rischiosi erano i territori dell’omosessualità maschile: abbastanza esotici da interessare gli autori, sufficientemente vulgati da poter incuriosire qualche lettore, indubbiamente ricercati da un nicchia minoritaria (ma che proprio dal 1971 cominciava a far parlare di sé) in cerca di rispecchiamenti, probabilmente piccanti per le lettrici, ma potenzialmente disturbanti per la maggioranza dei lettori che continuavano a essere identificati nei maschi eterosessuali orgogliosi della propria virilità.
Di questi rischi De Sade porta tracce (nella forma di una vistosa doppia morale) lungo tutta la sua fortunata esistenza, protrattasi per l’intero decennio (nonostante il disegno non sia certo dei migliori). Il Sade protagonista di queste avventure è infatti tutto sommato un semplice dongiovanni verboso, che in genere si limita a dichiarare il suo interesse per le pratiche erotiche più varie che però gli vediamo realizzare in forme piuttosto anodine. Non disdegna nemmeno le grazie maschili, e occasionalmente può addirittura concedersi «un’avventura erotica diversa con un bellissimo fanciullo», come ad esempio annunciava la presentazione del 120° episodio (La regina deve morire!). In quello precedente (Le notti di Sodoma) Sade era tuttavia alquanto ansioso di riaffermare la propria preferenza eterosessuale di fronte a una sanguinosa massoneria pederastica nascosta nei sotterranei di Londra e intenta a uccidere chiunque trasgredisse in qualsivoglia forma il giuramento di fedeltà al fallo. Insomma una variante delle trame complottistiche che in quegli anni ritornavano periodicamente in varie serie di questi fumetti. La banalità dell’immaginazione degli autori qui raggiunge il culmine: Sade, che deve infiltrarsi nella combriccola spinto da curiosità e da desiderio di vendetta, si ritrova fra un gruppo di travestiti effeminati che adorano un itifallo gigantesco, mangiano solo finocchi e banane e sono guidati da tali Zazà e Frufrù. Di fronte a tanta idiozia persino il bisessuale Sade infine esclama: «Vieni Justine, facciamo l’amore! Nel luogo dov’ero correvo il rischio di dimenticare come va fatto!». E che un libertino possa concedersi una dichiarazione così normativa la dice lunga sul modo in cui gli autori cercavano di tenere il piede in due scarpe.
Questa professione di fede non impedisce a Sade, qualche avventura dopo (La casa di Sodoma, n. 144), di aiutare una nobildonna parigina in declino ad avviare un bordello di lusso specializzato in perversioni, traendone lui stesso vantaggio per intrattenersi in sadici abboccamenti con due uomini, travestito da donna. E si era già fatto passare per donna molto prima (Il travestito, n. 31), sia pure solo per avvicinare un’attrice sdegnosa di cui si era incapricciato, salvo scoprire che era a sua volta un travestito. «Intendevo sedurvi… ma credo di aver cambiato idea!», dichiarerà una volta sciolto il duplice equivoco, di nuovo sconfessando la propria bisessualità, pur tanto notoria che persino il buon Frufrù, al di là della Manica, ne era al corrente. Nondimeno, nel prosieguo dell’avventura Sade organizza feste per un nobile sfaccendato in cui le ambiguità dei travestimenti si sprecano con ludica leggerezza.
E si potrebbe aggiungere come, in una delle avventure in cui si presta a fare da spia di Maria Antonietta (La testa di Medusa, n. 131), Sade non provi scandalo a pagare un informatore omosessuale in natura, sia pure per interposta persona, prelevando cioè giovinetti da un disinvolto bordello della capitale di cui vanta approfondita conoscenza, millantando anche di godervi di inesauribile credito: «Io frequento luoghi, a Parigi, che voi nemmeno immaginate. Veri harem di fanciulli, stupendi, che non possono dire di no a una mia richiesta!». Né mostra qui alcuno scandalo per le inclinazioni dell’uomo, lo scultore Grelouchon: «Oh, io sono addirittura un simpatizzante… Ognuno ha il suo chiodo fisso, ecco tutto!». Caso vorrà però che l’interessato finisca colato nel bronzo insieme a tutti i suoi modelli, senza essere pianto da nessuno.
Gli autori si direbbero insomma perennemente impegnati in un difficile equilibrismo, corteggiando ogni possibile lettore ma presentando Sade stesso come un libertino più disponibile a parole che nei fatti, universalmente conosciuto come inguaribile bisessuale ma di cui un numero sì e uno no si riconferma la primaria eterosessualità. Incertezze o calcolate prudenze, si tratta comunque di un passo verso serie più ardite per le quali occorrerà aspettare però ancora qualche anno.