recensione diMauro Giori
Belzeba, diavolo e diavolessa tutto in uno
Ambientato nella Spagna del 1400, Belzeba offre una delle tante variazioni sul genere erotico-orroroso elaborate dal fumetto italiano di quegli anni, caratterizzandosi per un espediente che le permette, come altre serie coeve, di porre da subito le premesse di un’attività sessuale non soltanto abbondante, ma disinvolta nelle forme e nelle combinazioni. Se a De Sade bastava evocare il divino marchese per giustificare il fatto che il protagonista non disdegnasse occasionalmente i maschi (sia pure più a parole che a fatti), mentre in Karzan lo stesso scopo era raggiunto con il pretesto che il protagonista era cresciuto allo stato brado, questa volta si immagina che Satana in persona, ingravidando una giovenca, generi un diavolo ermafrodito, Belzeba. Sarebbe forse più corretto dire diavolessa, poiché una volta vestita i “caratteri secondari” più evidenti sono quelli femminili, ma Belzeba è comunque sessualmente (iper)attiva sia come donna che come uomo, e sia con donne che con uomini, in tutti i possibili accoppiamenti.
Già al contadino legittimo proprietario della vacca da cui è nata, Belzeba si presenta senza timidezza offrendo i suoi servigi tanto femminili quanto maschili, perché «tutti gli uomini sono un po’ omosessuali, non lo sapevi?», dice lei. Il contadino offre subito la conferma, ammettendo di aver sognato anche lui qualche volta un ragazzo. Belzeba completa allora le presentazioni: «Io sono donna, io sono uomo, io sono sodomita, io sono lesbica… Con me tutti potranno godere senza limite!». Tutti tranne il contadino, subito ucciso perché, termina Belzeba, «io sono anche la crudeltà, io sono anche la morte». E in effetti nessuna serie orrorosa di mia conoscenza sta alla pari di questa per la quantità dei decessi e per il sadismo con cui vengono dispensate le morti (spesso dopo prolungata tortura).
Alla diavolessa non mancheranno comunque continue e ripetute occasioni per mettere in pratica il suo programma con amanti versatili e disponibili almeno quanto lei (senza contare lesbiche e omosessuali veri e propri, come nel caso del capo di una banda di virilissimi banditi o della setta di eretici inquisitori sodomiti incrociata in un’avventura). Occasioni che si moltiplicheranno sia perché Belzeba è un’autentica mantide omicida (quasi sempre elimina il suo compagno appena terminati i sollazzi, per assicurarsi che non tradisca il suo segreto), sia perché ha buoni sensi.
Anzi, per sua stessa ammissione l’ermafroditismo non fa che raddoppiarne la licenziosità sino al punto di interferire con la missione per cui è stata creata, cioè sedurre il feroce Torquemada, potente inquisitore dalle singolari abitudini: esorcizza le giovani indemoniate accoppiandosi con loro; è sadico quanto basta da godere vistosamente nel torturare i sospetti di stregoneria, uomini e donne; ad ogni avventura finita male infligge nuove mutilazioni al suo segretario (il quale nondimeno è un personaggio comico); ha una segreta inclinazione per il travestitismo, sfogata dormendo ogni notte agghindato con biancheria femminile e parrucca bionda. Un simile quadro dell’inquisizione si presta a un certo anticlericalismo di fondo (che fa ovviamente gioco a chi produce pornografia), laddove diavoli e diavolesse rappresentano invece l’altra metà del mondo, quella godereccia e disinibita. Anche rispetto all’omosessualità, tanto che nella prima visita all’inferno i sodomiti sono mostrati più gaudenti che sofferenti, mentre il primo rapporto sulle attività di Belzeba Satana lo riceve mentre si sollazza fantasticando su un angelo gay.
Senza più bisogno delle continue dichiarazioni morali che accompagnavano le imprese di De Sade fingendo di prendere le distanze, Belzeba cerca dunque di accontentare l’intera sfera del pubblico, e ciò sembra essere stata sempre la (non troppo) segreta ambizione degli autori di Barbieri. Creare cioè un fumetto pansessuale che potesse piacere a tutti. Il tratto deciso di Angiolini si presta poi bene tanto al disegno sensuale quanto alla caricatura e garantisce toni variabili a una serie relativamente più raffinata della media, ma di modesta tenuta: venne infatti chiusa dopo appena 30 numeri.