recensione diMauro Giori
Scandali
Il fumetto pornografico era nato negli Stati Uniti dei tardi anni Venti nella forma dei cosiddetti eight-pagers o tijuana bibles, fascicoletti di poche pagine generalmente incentrati su personaggi celebri (perlopiù attori e politici, ma spesso anche personaggi di altri fumetti) rappresentati in momenti di vita intima, normalmente ricamando su gossip e scandali che li riguardavano. Poteva così capitare di vedere Cary Grant rimorchiare sulla spiaggia per dimostrare la falsità delle voci sulla sua omosessualità, o un Rossellini superdotato alle prese con Ingrid Bergman. E ovviamente Mae West fare di tutto con chiunque.
Scandali non fa che rinverdire questa “antica” tradizione inserendosi a modo suo nel già ricco filone dei fumetti erotico-pornografici incentrati su fatti di cronaca. La maggior parte degli episodi si limita a illustrare gossip e voci più o meno malevole sfruttando l’attualità o – quando si tratta di attori – ricamando su quella Bibbia del pettegolezzo hollywoodiano che sono i due volumi di Kenneth Anger intitolati Hollywood Babylon. A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, lo sguardo non è necessariamente predatorio nello stile del paparazzo nostrano, ma piuttosto distaccato e spesso persino comprensivo nei confronti delle celebrità, rappresentate anzitutto come persone dalle vite complicate, costrette a sottostare a condizionamenti opprimenti per esigenze di carriera.
Visto il tabù sociale che l’ha riguardata, soprattutto nell’ambito dello star system hollywoodiano, l’omosessualità è inevitabilmente una componente ricorrente in questa serie, sin dal primo numero (Oscenamente gay), dedicato a un Sylvester Stallone ribattezzato Rocky Montone. Il fumetto segue i pettegolezzi che lo vogliono gay, e che vogliono di conseguenza lesbica la moglie Brigitte Nielsen, sposata per convenienza e per tacitare le voci sulle reali tendenze dell’attore. Il loro figlio sarebbe poi il parto di un complicatissimo triangolo studiato a tavolino: siccome non c’è verso che Montone si ecciti con una donna, né la moglie riesce a sopportare il contatto con un uomo, l’ingegnosa trovata dei produttori è quella di ricorrere a un transessuale che faccia da intermediario, “scaldando” tanto il primo quanto la seconda.
Laddove le cronache abbiano confermato la fondatezza dei pettegolezzi (come nel caso di Rock Hudson, cui è dedicato il n. 9, Morte di un divo), o quando i personaggi appartengano al passato, non ci si prende nemmeno la briga di storpiarne i nomi. Nel n. 3 (Piumino di cipria) la vicenda di Rodolfo Valentino è così ricostruita senza paraventi. Vero è che il protagonista del fumetto assomiglia più all’ultraconservatore Henry Fonda che al sex symbol italoamericano degli anni del muto, ma l’involontaria confusione (in sé divertente) si deve solo al fatto che il disegnatore Stelio Fenzo aveva sì un tratto inconfondibile, ma non era propriamente un asso nel riprodurre mimeticamente i volti e i suoi personaggi sembrano sempre tutti di mezza età. Ad ogni modo, per la sceneggiatura gli autori seguono puntualmente le pagine che Anger dedica a Valentino in Hollywood Babylon, limitandosi a rendere più esplicite le voci sulla “scarsa maschilità” dell’attore, ritratto come il passivo amante di due mogli lesbiche che trova finalmente soddisfazione alla sua omosessualità repressa in occasione di un breve soggiorno in carcere. Persino l’attacco di appendicite che lo stronca prematuramente lo coglie mentre è fra le braccia di un formoso ragazzotto baffuto, il quale poi porterà annualmente fiori sulla sua tomba vestito da donna in lutto (ecco così risolto anche l'inossidabile mistero della “dama nera”). Mentre poi Valentino leggeva il celebre articolo del «Chicago Tribune» (riportato per intero da Anger) che ne attaccava la virilità suscitandone la rabbia, la seconda moglie pensava (psicanalizzando il caso a usufrutto del lettore ed esibendo una sostanziale simpatia per il caso umano rappresentato): «Rudy ci soffre a essere considerato troppo femmineo, ma nello stesso tempo, nel suo intimo, ci gode… tutto ciò gli provoca un drammatico conflitto interno».
Nel n. 17 (Monty e James Dean divi bruciati) è la volta invece di Montgomery Clift, del quale si spiega per filo e per segno perché rifiuti prima Marylin Monroe e poi Litz Taylor. Nello stesso episodio si restituisce invece un ritratto singolarmente sobrio di James Dean, descritto come un giovane scorbutico, violentato da piccolo ma alla ricerca di vero amore, trovato nella persona dell’attricetta italiana Annamaria Pietrangeli, la quale però lo respinge causandone indirettamente la morte. Chi si sorprenda che non si vada a scavare più a fondo troverà la risposta nel fatto che lo si era già fatto nel n. 5 (Le scandalose fiabe di Hollywood), dove si illustrano i pettegolezzi di Hedda (Edna nel fumetto) Hopper, giornalista depositaria dei segreti di mezza Hollywood, a sua volta ritratta come bisessuale: riecco quindi, fra l’altro, Dean che si fa spegnere sigarette sul sedere e ha bisogno di un uomo accanto per poter fare l’amore. Ma anche Gable che fa licenziare Cukor perché sul set di Via col vento va raccontando a tutti la storia della relazione giovanile del maschio attore con William Haines. «La Hollywood di quei tempi rifiutava l’omosessualità esibita», racconta Edna col senno di poi e la posata transigenza di chi ha visto di tutto e non ha motivo di condannare nulla.
Fra le storie che non riguardano il mondo del cinema, per rilievo, stupidità e basso livello del disegno spicca L’untore (nel n. 10). Ne è protagonista Gaëtan Dugas, lo stewart canadese che una leggenda metropolitana ha additato per anni come il paziente zero, cioè colui che, coniugando peregrinazioni professionali e un’estrema licenziosità, avrebbe importato l’Aids negli Stati Uniti. Nel fumetto si immagina che a contagiarlo sia un «giovane africano» conosciuto a Parigi. Il percorso successivo di Dugas è quello di un irresponsabile che rimuove la sua malattia e non si preoccupa del contagio che diffonde. Persino quando il sarcoma di Kaposi ne rende evidente il precario stato di salute, Dugas non retrocede dalle sue abitudini, arrivando a consumare nella «nauseante e putrescente rete fognaria della città». Oltre a non curarsi minimamente dei consigli dei medici (tutti comprensivi, gentili e perfettamente raziocinanti), Dugas continua a spregiare l’unica persona che si sia innamorata di lui, la quale alla fine si suiciderà davanti all’urna delle ceneri dell’amato, nella casa della di lui madre (come se la poveretta non ne avesse viste abbastanza). Ovviamente nel frattempo anche lui aveva sviluppato la malattia. Come non bastasse, Dugas è anche additato come il probabile responsabile della «riesportazione diffusiva della malattia in Europa». In più, per non lasciare a bocca asciutta il lettore eterosessuale, gli autori inventano una hostess lesbica che seduce una collega innamorata di Dugas. «Questi sono gli anni dell’ascesa del gay movement…», le dice per farle intendere che non ha speranze con lo stewart: «Vieni che ti spiego». E le due si chiudono nel bagno dell’aereo (chi si sia occupato intanto dei passeggeri non è dato saperlo). Tempo dopo le ritroviamo inserite nuovamente a forza e a titolo totalmente gratuito nell’intreccio, giusto per confermare lo squallore predatorio degli omosessuali: «Sei stata tu a corrompermi», lamenta la poverina ormai incastrata (chissà perché) in una relazione con la donna. «Taci e succhiamela» è la risposta di lei, poco incline al dialogo.