Il commissario Pepe

17 luglio 2016

«Puppi Carmelo, anni 21, meccanico disoccupato e sano di mente e di corpo; la di lui degenza in ospedale è quindi sequestro di persona da parte del Professor Valenga Mario, che abusa della di lui professione ospedaliera per coricarsi col suddetto giovane a guisa di femmina». Questo è uno dei tanti spassosi verbali che vengono letti con strascicato accento veneto nel commissariato di un'imprecisata cittadina, piccola ma ricolma di banali viziosi e di meretrici per hobby.

Il commissario Pepe (Ugo Tognazzi) è colto, calmo e smaliziato: sa tutto di tutti ma non ricava nessun piacere da questa sua onniscienza. Interviene il meno possibile perché il ruolo del moralizzatore non gli si confà e, quando è costretto a mettere bocca, fa intuire ai rei di conoscere i loro segreti e lascia che siano loro stessi a rimediare alle proprie marachelle.

Ciò si verifica nel caso del sunnominato Professor Valenga Mario (Michele Capnist), il quale tiene un ingenuo calciatore dilettante in osservazione ingiustificatamente stretta, almeno in rapporto alla ridotta entità del malanno che l'ha colpito... a giustificare il fatto c'è invece la libido del professore, sempre pronto ad approfittare del suo camice per mettere le mani là dove non dovrebbe. Nelle sue visioni, il commissario Pepe si immagina il rispettabile (e ammanicato) dottore che, in vestaglia e cuffia da nonna zozzona, coccola e massaggia con vigore la propria giovane vittima, sufficientemente dura di comprendonio da non capire (?) quello che le sta accadendo.

Il commissario riesce a far dimettere il calciatore cosicché possa partecipare a una partita decisiva per la squadra del paese. Quando il Professor Valenga gli domanda «Da quand'è che lei ha cominciato ad occuparsi di calcio?», Pepe replica – con appena una punta di malignità – «Da quando lei ha cominciato ad occuparsi di calciatori». La malignità si acuisce quando un portantino dalla voce flautata si rivolge così a una monaca: «Sorella!»... e prontamente Pepe dà una beccata al professore, distratto dal richiamo, dicendogli acre «Non è per lei».

Questo episodio rispetta il cliché dell'omosessuale viscido, corruttore e vizioso, ma “l'illustre clinico” non è più orrido degli altri peccatori della provincia. In più la sceneggiatura di Ruggero Maccari e del regista Ettore Scola è leggiadra e il valentissimo Tognazzi – che l'anno dopo avrebbe vestito i regali panni di Madame Royale – non dà tratti omofobi al suo personaggio.

All'abbondanza, nel paese, di sessuomani, fedifraghi e puttanieri corrisponde anche – come è giusto che sia – una certa quantità di esponenti del “terzo sesso” (l'impiccione del paese, Parigi, usa proprio questo termine). Maccari e Scola non si fanno mancare niente neanche sul versante lesbico: troviamo inizialmente un'arcigna contessa appassionata di beneficenza e di porno-festini (a cui partecipano anche «giovanotti un po' truccati», come dice il commissario). L'identità sessuale della contessa (Elena Persiani) è suggerita dalla sua voce scura e dalla mascella squadrata che, nei gialli erotici degli anni successivi, avrebbe contraddistinto quasi tutte le seguaci di Saffo. Ma il suo lesbismo è denunciato anche da un indizio ben più probante: la presenza di una domestica con dei lineamenti marcati tipo statua paleocristiana e vistosamente doppiata da un uomo!

Poco più tardi veniamo a conoscenza delle “singolari” abitudini di Suor Clementina (Dana Ghia), che sovrintende all'educazione delle trovatelle del convento di San Giuliano concedendosi qualche libertà di troppo. Questa suora – precorritrice del filone dei semi-drammi semi-sexy di ambientazione conventuale seguiti a Le monache di Sant'Arcangelo – punisce le allieve indisciplinate facendole dormire per terra accanto al suo letto; alla penitenza segue il perdono, e le ragazze vengono misericordiosamente fatte salire sul letto.

In prossimità delle elezioni comunali, il commissario Pepe viene indotto a fare un repulisti tra i suoi lussuriosi concittadini. Con l'equanimità che lo contraddistingue pensa di perseguire tanto i pesci piccoli quanto i pesci grossi; ma quando i superiori gli intimano di depennare dalla lista nera i nomi dei personaggi più in vista, Pepe cade preda del dubbio e per la prima volta dopo anni accende la sigaretta che prima si limitava a tenere stretta tra le labbra. L'idea di fare favoritismi gli ripugna, quindi i casi sono due: o tutti fuori, o tutti dentro.

Nessuno tra i mattatori della commedia all'italiana avrebbe potuto conferire a questo personaggio lo spessore che gli dà Ugo Tognazzi, minimale come un Marlowe ma per niente imperturbabile; le crepe che si aprono nella sua psiche sono sottolineate dal bel commento musicale psicologico di Armando Trovajoli. Accanto a Pepe, troviamo tanti altri personaggi – repellenti e teneri – descritti alla perfezione e degni di Signore e signori di Pietro Germi, ambientato anch'esso in Veneto:

  1. il mutilato di guerra Parigi (Giuseppe Maffioli, qualche anno dopo indimenticabile paracadutista fascista in Vogliamo i colonnelli, sempre con Tognazzi), dalla cui bocca cariata non escono che maldicenze nei confronti dei suoi concittadini, rei – a suo dire – di permettere, con il loro torpore da teledipendenti, che i governi scatenino guerre in cui gente come lui rimane storpiata;

  2. l'agente Zanon, altamente inespressivo e apparentemente stolido, ma abituato al double thought poliziesco come e meglio del commissario Pepe;

  3. l'agente Cariddi (Tano Cimarosa), il classico furbetto con la faccia di tolla che si prodiga per lavorare il meno possibile;

  4. la vecchissima governante del commissario, Uliana, che misura lo scorrere del tempo in base alla programmazione televisiva e che prova un'attrazione “carnale” per il suo illustre coetaneo Giuseppe Ungaretti;

Sette anni dopo Il commissario Pepe, sia Tognazzi che lo sceneggiatore Maccari vengono coinvolti in un film piatto e scritto molto meno bene, Al piacere di rivederla di Marco Leto. Tognazzi interpreta stavolta un ex commissario che ritorna al suo paese d'origine, in Emilia. Stavolta il vizio dominante è la pedofilia, praticata verso ambo i sessi; troviamo ad esempio un cencioso usuraio (Paolo Bonacelli) che di tanto in tanto mette la mano nella patta dei ragazzini. Ma c'è anche altro: una donna ricca che si diverte a simulare il proprio stupro servendosi di ragazzotti da lei stipendiati, e un prete maneggione (l'istrionico Alberto Lionello) col business degli orfanelli, vestiti tra l'altro da detenuti di Auschwitz. Insomma, aumenta la sgradevolezza, ma il divertimento diminuisce parecchio.

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