La storia di un matrimonio

28 luglio 2016

Che cosa manca a La storia di un matrimonio per farne un ottimo romanzo? La capacità di sintesi. Come ne Le vite impossibili di Greta Wells, l’elegante penna di Andrew Sean Greer non riesce a fermarsi al momento giusto: troppi eventi, troppi colpi di scena, come se l’autore avesse paura di perdere l’attenzione e la partecipazione del lettore. Se, infatti, le premesse mostrate nel breve racconto La ballata di Pearlie Cook erano entusiasmanti, La storia di un matrimonio, dopo una prima parte intensa e piacevole, si perde via via lungo le pagine, dando l’impressione che Greer non avesse ben chiaro come far procedere la storia inserendo, quindi, vicende e personaggi (in particolar modo quella di William Platt e del perché Buzz non abbia più un dito della mano) superflui e manifestamente atti ad allungare la narrazione.

Pearlie e Holland Cook sono una giovane coppia di colore – già una sostanziale differenza rispetto a Pearlie Cook, che apre la strada anche a una lieve riflessione sul razzismo nell’America degli anni Cinquanta e, da qui, sul pericolo comunista con la presenza di Ethel Rosenberg che aleggia – che vive le proprie giornate con un figlio poliomielitico e un cane in una stanca quotidianità fatta anche del terrore di un ipotetico attacco nucleare. L’esistenza di Pearlie sarà rivoluzionata dall’arrivo dell’affascinante Buzz, obiettore di coscienza negli anni della guerra e imprenditore, che svelerà alla donna di avere avuto una relazione con il marito, conosciuto in un ospedale militare, e che ha deciso di voler passare il resto dei suoi giorni con l’uomo. Il triangolo originale, però, diventerà presto un quadrilatero anche con l’arrivo sulla scena di Annabel, giovane ragazza ricca, di cui Holland è autista personale e sospetto amante. Pressata dalle richieste di Buzz, Pearlie finirà per prendere una serie di decisioni che, francamente, risultano alla lunga essere improbabili, avvicinandosi emotivamente sempre di più al contendente: da qui una serie ininterrotta di colpi di scena che, pur mantenendo la piacevolezza di una scrittura colta, incrinano la storia. Basterebbe, infatti, saltare dalla fine del primo capitolo e riprendere al quarto: La storia di un matrimonio sarebbe così un ottimo e credibile romanzo.

È, invece, proprio il “formato” romanzo che intacca anche il ritratto dei personaggi: di fronte a scelte sempre più pressanti e talvolta lontane dalla realtà, la poco appetibile Pearlie sfoggia una serie di profonde e anacronistiche riflessioni che palesemente non le appartengono. Più verosimili risultano gli uomini: l’inetto Holland, incapace di prendere una decisione, se non nel finale, e l’antipatico Buzz, che, al contrario, è deciso a raggiungere il suo scopo con ogni mezzo possibile. Tra di loro Pearlie, dal passato difficile e dal presente ancora più incerto, una volta aperti gli occhi sull’omosessualità del marito, ripensa alla propria esistenza con Holland e progetta di costruirne una nuova, scegliendo ma pentendosi continuamente delle proprie scelte: ed è proprio questo interminabile rimorso che finisce per logorare l’attenzione del lettore.
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