recensione diAndrea Meroni
La poliziotta a New York
In una classifica degli attori italiani più corteggiati dai gay (sul grande schermo, s'intende) Alvaro Vitali rischia di avere un piazzamento di tutto rispetto. Gli sceneggiatori evidentemente trovavano esilarante l'idea che le sue fattezze di glabro porcellino d'india costituissero un richiamo irresistibile per omosessuali allupati. Questi ultimi infatti non guardano in faccia nessuno, come Vitali ricorda in un monologo che coniuga armoniosamente razzismo e omofobia: «Oddio, proprio er frocio negro, che poi so' pure i più pericolosi. Se t'arrivano di notte alle spalle, gli vedi solo i denti quando ridono... e se ridono ormai vor di' che è troppo tardi!».
Queste parole sono tratte da La poliziotta a New York, ultimo capitolo del trittico che vede Edwige Fenech come perseverante e desiderabile tutrice dell'ordine. Se questa mini-saga era cominciata in modo piuttosto gagliardo con La poliziotta fa carriera, l'episodio conclusivo lascia sconsolati con battute che umiliano chi le dice e chi le sente. Mereghetti porta come esempio questa perla «Quando si incazza è tre-mendo, diventa anche quattro-mendo», pronunciata dallo “stufato” (stufo e bollito) Renzo Montagnani, ma anche «Ammappa, che mappa!», detta da Alvaro Vitali, è una ferita che non si rimargina. Per il resto la sceneggiatura è in balia della consueta alternanza di dialetti (siculo-romano-napoletano) e dei soliti balbettii di Giacomo Rizzo, e il fatto che nella trama succeda di tutto e di più non impedisce al film di essere una noia tremenda.
Se proprio bisogna trovare qualcosa di buono, possiamo lodare la vivacità del décor scenico e la disinvoltura della Fenech, che ormai si era fatta la sua esperienza come attrice brillante.
Tornando alla componente “razzista e omofoba” del film, la troviamo in una delle mille pieghe della trama che vede l'Agente Tarallo (Alvaro Vitali) impegnato a sostituire un killer di cui è il sosia (impersonato sempre da Vitali, chiaramente). Inevitabilmente Tarallo è obbligato a prenderne il posto anche in camera da letto, ma scopre con disappunto che la “pupa del gangster” in questo caso è un possente afroamericano (possente in tutti i sensi, come esige lo stereotipo) di nome Gedeone, interpretato dal futuro telecronista congolese di TGR Lazio Fidel Mbanga-Bauna, militante di Alleanza Nazionale e successivamente pupillo di Francesco Storace.
Gedeone è confuso dalle resistenze che Tarallo gli oppone, tanto che si convince che questi lo tradisca e perciò tenta di evirarlo con delle cesoie; ma la fiamma del suo amore resiste alle peripezie e nel finale lo vediamo preferire consapevolmente lo sventurato Tarallo (perseguitato anche da una governante nera che parla come la Mami di Via col vento) al killer che era originariamente il suo partner. Quest'ultimo chiede incredulo «Cosa c'avrà meglio di me quello?», proprio come diceva il Gastone Pescucci de La poliziotta fa carriera, riferendosi però alla Fenech! Che scambio svantaggioso, anche in un'ottica omosex...