recensione diAndrea Meroni
Croce e delizia
Croce e delizia è vittima di uno scompenso logorante tra un ottimo contenuto e una forma così così. Il discorso che sviluppa sull'omofobia, sulle sue cause e sui suoi rimedi, è svolto con semplicità cristallina, con delicatezza e persino con eleganza, e – ciò che più conta – senza falsi pudori, retromarce o cerchiobottismi. Il problema è nella confezione che, quando vuole amplificare il pathos, lo sabota involontariamente, complici anche alcune pecche tecniche non trascurabili (un montaggio disomogeneo e arruffato e un missaggio spericolato) e soprattutto la scelta di un'ambientazione cartolinesca che vuole a tutti i costi aggiungere una magia superflua.
La spontaneità e l'eloquenza con cui la sceneggiatura esaurisce i temi più caldi, come la malleabilità dell'“organismo familiare”, rende inutili le varie spintarelle emotive e le scene madri, fortunatamente poche, ma che bastano e avanzano. Inoltre la love story tra Carlo (Alessandro Gassmann) e Toni (Fabrizio Bentivoglio) non ha per forza bisogno di un mare terso sempre sullo sfondo, né tanto meno di ville extra-large ed extra-lusso, per guadagnare in attendibilità: al contrario, visto che – una volta tanto – il messaggio “politico” del film arriva a segno con precisione, la vicenda potrebbe essere pure ambientata a Bresso, per dire.
Ma andiamo per ordine: il facoltoso e fatuo mercante d'arte Toni decide di annunciare alla propria famiglia il desiderio di unirsi civilmente con un vedovo proprietario di una pescheria, Carlo, e convoca in una mastodontica villa sul litorale laziale la sorella hippy (Lunetta Savino) e il di lei inconsistente fidanzato, le proprie figlie di vario letto, Penelope e Olivia (Jasmine Trinca e Clara Ponsot), più la bambina di Olivia. In seguito si sommerà anche una delle ex-compagne di Toni (Anna Galiena), che svelerà scabrosi dettagli sul passato pansessuale di Toni (il quale da subito afferma, banalmente, che «le etichette mi sono sempre state strette»).
Nella dépendance alloggia invece, convinta di stare facendo una semplice vacanza, l'ignara famiglia di Carlo, composta dal figlio piccolo, Diego, e dal figlio grande, Sandro (Filippo Scicchitano), più la moglie incinta di quest'ultimo e il loro bambino.
Laddove Toni svela le proprie intenzioni para-matrimoniali con lo stile mondano e disinvolto che gli è consono, Carlo è più reticente, consapevole del fatto che a Sandro – ragazzo di sani principi ma che sicuramente vota Fratelli d'Italia – l'idea di vedere il padre accasato con altro uomo non andrà giù tanto facilmente.
Quando infine entrambe le famiglie vengono messe a parte della volontà dei rispettivi patriarchi, le reazioni vanno da un'epidermica felicità (la sorella di Toni) all'isteria (Penelope, la primogenita di Toni, e Sandro, il figlio grande di Carlo), passando per la fondamentale indifferenza di tutti gli altri. Subito dopo la rivelazione, Penelope e Sandro si coalizzano per mandare a monte il “matrimonio”; questi due cospiratori rappresentano in modo inequivocabile i due volti dell'omofobia: Sandro è semplicemente ignorante (e un po' morboso, come gli rinfaccerà il padre), mentre Penelope – che pure afferma di essere scesa in piazza in una manifestazione a favore delle unioni civili – incarna l'invidia, il desiderio inconscio di vendicarsi della propria infelicità minando la felicità altrui.
Il partito degli indifferenti trova invece la sua rappresentante più efficace nella secondogenita di Toni, una divetta cresciuta in Francia che sprizza snobismo da tutti i pori, pur senza farlo troppo pesare: «Non avevo mai conosciuto gente che guarda la televisione!» dice verso l'inizio del film, stupita dall'“eccentrica” richiesta di Sandro di vedere la partita. Più tardi affermerà similmente: «Non avevo mai conosciuto gente omofoba!». Per forza! Che può saperne del famigerato “paese reale” – come suggerisce la sceneggiatura di Giulia Steigerwalt – una che passa la vita sul red carpet o sugli aerei? Ma, a dispetto delle sue troppe noncuranze, questa radical chic di turno non è un personaggio negativo, bensì neutro, ed è ben lieta di fare da testimone ai promessi sposi.
Neutrale è anche la moglie di Sandro, la quale, dopo lo choc iniziale, non oppone alcuna obiezione, anzi, mal sopporta l'idea che il marito voglia sabotare l'unione gay. Ovviamente la sceneggiatura non manca di scherzare sulla sua mentalità naif: quando la sciura hippy le domanda se abbia avuto esperienze saffiche in passato, lei risponde con un risolino imbarazzato «Ma io sono di Nettuno!». La hippy invece ne ha avute eccome, e non si vergogna di ammetterlo, anche se adesso propende di più per gli uomini (purché più giovani): «Negli anni Sessanta eravamo tutte di bosco e di riviera».
La comicità del film – come si sarà intuito – è costruita su contrapposizioni molto elementari: infradito VS scarpe di lusso, altoborghesi VS piccoloborghesi, colti VS incolti, cosmopoliti VS provinciali, irresponsabilità VS responsabilità, frammentazione familiare VS unità familiare.
Il personaggio che maggiormente sfugge a questo schematismo talvolta fastidioso è Carlo (interpretato da Alessandro Gassmann con intensità e bravura, anche se con una sempiterna aria da cane bastonato): un uomo rozzo ma probo, che – in virtù della propria solidità e della propria capacità di entrare in sintonia col prossimo – si farà amare come un padre persino dalla complessata figlia di Toni.
Per quanto riguarda Toni, è apprezzabile l'idea di non farne un santino, anche se forse si eccede in senso opposto: dietro la sua bonomia e le sue maniere giocose ed eccentriche, si cela un individuo egoista pronto a mollare gli ormeggi dalla propria famiglia appena questa lo ostacola... e, a maggior ragione, non esiterebbe un istante a liquidare la famiglia di Carlo, specialmente quando capisce che Sandro non intende cessare le ostilità: «Mandiamoli tutti affanculo e ce ne andiamo alle Maldive» dice grosso modo entro la prima mezz'ora del film, tra il serio e il faceto. Ma di lì a poco il serio prende il sopravvento sul faceto, e Carlo capisce che di che pasta è fatto l'uomo di cui si è innamorato. La prova d'attore del sornione Fabrizio Bentivoglio è forse la più ardua da giudicare, perché tenta di modernizzare – calandolo in un contesto famiglia – lo stereotipo del dandy omosessuale, con esito incerto.
Croce e delizia riesce a farsi ricordare per quei momenti che non vengono adulterati dagli eccessi registici e dalle pecche formali di cui sopra: particolarmente bella è la scena in cui Carlo/Gassmann si preoccupa che il figlio piccolo, Diego, sia rimasto deluso dalla scoperta del suo fidanzamento con un uomo... in realtà il bambino è alle prese con i propri primi turbamenti amorosi (si è incapricciato della nipotina di Toni, la figlia di Olivia) e del fatto che il padre ami un uomo o una donna non gliene cale assolutamente. «Eh, i bambini sono più svelti a capire l'autenticità dei sentimenti» ha affermato una spettatrice un po' mielosa alle mie spalle. Proprio così, signora mia!