recensione diMarco Valchera
Michael Cunningham, Day
Partiamo dall'aspetto positivo di Day, nuovo romanzo di Michael Cunningham a distanza di dieci anni dal precedente La regina delle nevi: la prosa. L'autore, premio Pulitzer per Le ore, mantiene ancora vivo uno stile elegante, mai retorico, suadente, mai prolisso: la sua scrittura tende ad avvolgere il lettore con una musicalità lessicale e sintattica ormai raramente presente nella narrativa contemporanea.
Passiamo, ora, alle note dolenti: se, leggendo le vicende dei tre protagonisti, si prova spesso un déjà vu, ciò dipende dal fatto che troppi aspetti sono in comune con quanto accadeva nell'opera di dieci anni prima. Il problema più grande, tuttavia, è la storia in sé e per sé: dallo scrittore che ha magnificamente rappresentato sulle sue pagine la scoperta della propria omosessualità, l'AIDS, gli ultimi attimi di vita di Virginia Woolf, ci si aspetta sempre qualcosa di più della classica crisi esistenziale di quarantenni borghesi. I personaggi minori non aiutano: né i due figli piccoli della coppia protagonista, a cui vengono spesso attribuite riflessioni improbabili per la loro età, né Garth, artista sconclusionato che ha donato il suo seme all'amica lesbica Chess per aiutarla ad avere un bambino ma che poi si è reso conto di essersi innamorato di lei.
Da grande ammiratore dello scrittore, apprezzo la struttura che richiama il capolavoro de Le ore nella sua organizzazione cronologica costruita intorno a una giornata, in questo caso, il 5 aprile di tre anni diversi (2019, 2020, 2021) in momenti diversi (mattina, pomeriggio, sera). La mattina del 2019 è la parte più lunga e interessante delle tre: vengono introdotti i protagonisti e le loro relazioni che stanno per subire un importante cambiamento.
Robbie, fratello gay di Isabel, si trova, infatti, costretto a dover traslocare per poter lasciare il piccolo appartamento nel quale vive al piano superiore al figlio di Isabel, Nathan. Questa sua partenza, che ne mette in crisi anche le scelte di vita, come quella di non aver proseguito la facoltà di medicina per poi trovarsi a insegnare Storia in una scuola media, si rivela essere una grave perdita di equilibrio per il matrimonio tra la donna e Dan, musicista fallito, ormai casalingo a tempo pieno, che cerca però di tornare ai pochi fasti del passato con una nuova canzone di cui fatica a trovare l'ispirazione. Isabel e Robbie hanno un rapporto strettissimo, nonostante le loro grandi differenze caratteriali: lei "ha imparato piuttosto presto che se la cosiddetta bellezza risiedeva in lei in forma precaria, la ferocia ne sarebbe stata un degno sostituto", lui "era il meno florido, quello col cuore delicato, sempre pensoso e introverso". I due hanno, inoltre, costruito un alter ego di sé creando su Instagram il profilo di Wolfe, un pediatra trentenne, biondo e palestrato, con migliaia di followers, che ignorano si tratti solo di una proiezione social dei desideri e delle ambizioni dei fratelli. È in questa prima sezione che sono presenti le due scene più toccanti del romanzo: nella prima, mentre sta progettando che cosa portare nel suo futuro appartamento, ancora da trovare, Robbie ripercorre le tappe più importanti della sua vita a partire da oggetti-talismani di montaliana memoria (la foto mancante con il suo primo amore Zach, la sciarpa costosa di cachemire regalatagli da Peter, etc.); nella seconda, invece, Isabel, stanca di sé e del suo matrimonio e dubbiosa se lasciare andare o meno il fratello, scoppia in lacrime mentre si trova sulla metropolitana gremita di persone che tentano di guardare in un'altra direzione per non farla sentire in profondo disagio.
Il 2020 sancisce l'inizio della pandemia e della quarantena: l'autore non utilizza mai la parola COVID, che, ovviamente, sconvolge le esistenze di tutta la famiglia, divenendo il motore di decisioni da tempo rimandate. La morte, sera del 2021, arriva lasciando i vivi a piangere le persone che hanno perso e a interrogarsi su come poter trovare un nuovo, seppur fragile, equilibrio.