recensione diDaniele Cenci
Myra il tuo pop, o bella signora!
"Sono convinta, più che mai, che l'unica forma utile rimasta alla letteratura nell'era post-gutenberghiana è il memoriale: l'assoluta verità, copiata in modo preciso dalla vita, preferibilmente nell'attimo in cui accade...":
una dichiarazione di poetica che accomuna Vidal alla conturbante eroina di questa apoteosi degli splendori e miserie della cultura americana.
Un marito affogato in un misterioso incidente (ma le nozze sono mai state celebrate?); un'eredità da rivendicare con le unghie e con i denti dall'infido zio Buck Loner; un'accademia di recitazione utile solo a spennar polli; l'ingombrante presenza dell'analista neofreudiano Montag, propugnatore della "perversione polimorfa".
Androgina bomba di intelligenza humour e sensualità, Myra, inquietante "domina" e "regina" dal passato "imprecisabile e nebuloso", è decisa ad andare fino in fondo, con lucida follia, al suo progetto di salvare l'Umanità: favorire, ricorrendo ad ogni possibile macchinazione, la metamorfosi di tutti i maschi appetibili in sterili fanciulle, evitando la catastrofe del sovrappopolamento; suscitare
"un polimorfico abbandono sessuale in cui le linee divisorie tra i due sessi si dissolvono, con gran gioia di tutti".
La nostra 'trans fatale' condurrà a buon termine il suo spericolato esperimento: farà prima deflagrare la granitica, archetipica virilità dell'irresistibile "manzo" Rusty, violandone l'"anOcronistica" verginità con un grosso fallo di gomma che ne sprigiona il latente desiderio omoerotico; sedurrà poi la sua svampita fidanzata Mary-Ann, coronando su tutti i fronti la rivincita nei confronti delle gerarchie del potere eterosessista (un po' come il Dottor Frank-n-Furter, "sweet transvestite from Transexual Transylvania", in The Rocky Horror picture show).
Fino ad approdare in un pianeta in cui l'essere umano cessi di limitarsi ad un unico ruolo, a un singolo individuo, e sia libero di mescolarsi agli altri, di scambiare la personalità con maschi e femmine, di vivere fino in fondo il più elaborato dei sogni, senza più limiti.
Questa "funambolica pantomima pop" del 1968, dedicata a Christopher Isherwood, torna nella felice traduzione (edita da Bompiani nel 1969) di Vincenzo Mantovani.
Già allora Claudio Gorlier poneva in risalto il fatto che per la prima volta Vidal "si sbarazza delle formule narrative più tradizionali e chiuse", in favore dell' "irruzione contaminatrice dell'antiromanzo", ricorrendo ad un montaggio "ammiccante e un poco cifrato" infarcito di "allusioni astutamente disseminate", specie sull'industria culturale USA e l'assurda fauna che popola la fabbrica dei sogni hollywoodiana, in una California-spugna "che omogeneizza tutte le cose", perché "il desiderio e la ricerca del tutto finiscono a Santa Monica!" (con sbarazzino rimando a Frederick Rolfe).
Da questa irresistibile parodia Michael Sarne trasse nel 1970 un cult movie con i mostri sacri Raquel Welch, Mae West e John Huston, costruito, ad imitazione dell'originale, come un patchwork pieno di citazioni cinefile, specie dei "film prodotti tra il 1931 e il 1947".
"Myra" ha avuto un suo seguito ancor più irriverente con "Myron" (1974), micidiale nella sua rottamazione del Sogno americano, ormai trasformatosi in incubo: per completare il dittico, se ne attende a breve la riedizione, magari nella spumeggiante versione di Marisa Caramella del 1976.