recensione diMauro Giori
Pop Camp
Finalmente anche il lettore italiano ha a disposizione un'antologia ricca (oltre seicento pagine) ed esaustiva sul camp, valvola di sfogo estetica di cent'anni di solitudine e repressione, croce e delizia della cultura omosessuale che gli studiosi seri evitano come la peste (almeno in Italia: lo ricorda Cleto nell'introduzione, ma potrei testimoniarlo in prima persona), mentre l'altra metà del mondo (maschile) si limita a praticarla senza disquisirne troppo volentieri. Come notava trent'anni fa Dyer con una punta di perfidia, «è abbastanza semplice impararne il gergo e lo stile; il che rende brillanti anche gli stupidi». Tuttavia, possiamo aggiungere noi, spiegare ciò che sembra così semplice e intuitivo è tutta un'altra questione.
Studiosi e praticanti, in effetti, non hanno sempre le idee molto chiare su cosa sia il camp, su quando, dove, come e perché sia nato, su quali evoluzioni abbia subito. Per non parlare del suo legame con la cultura omosessuale.
Del resto, come testimonia questa stessa antologia, per molti anni si è cercato di aggirare la maggior parte di questi (e altri) problemi limitando la riflessione sul camp a catalogazioni di esempi e modelli talmente disparati da risultare di relativa utilità, nonostante alcuni di questi sforzi abbiano potuto contare sull'intelligenza di personalità come Susan Sontag.
Il problema è che il camp non è «una proprietà oggettuale» bensì «un processo dinamico, una relazione indiscreta tra oggetto e sguardo»: così scrive, nell'introdurre i due volumi, Fabio Cleto, uno dei pochi (pochissimi) studiosi che, in Italia, si sia occupato con serietà dell'argomento, al quale ha già dedicato, tra l'altro, una bella antologia pubblicata quasi dieci anni fa in lingua inglese, introdotta da un saggio denso e complesso. Per questa nuova impresa italiana Cleto opta per un'introduzione decisamente più snella (ma capace di sollevare in poche pagine i punti nodali, storici e culturali, della riflessione estetica sul camp), recupera circa un terzo dell'antologia inglese e aggiunge numerosi altri testi, per lo più fino ad ora inediti in Italia. Il risultato è un'opera di riferimento per il lettore italiano, che può trovare qui riuniti per la prima volta i testi storici della riflessione sul camp risalenti agli anni Sessanta e Settanta (quelli della svolta "pop" particolarmente ben documentata nell'antologia) e numerosi studi che affrontano gli aspetti più diversi del camp attraverso una casistica delle sue manifestazioni necessariamente selezionata ma copiosa, che include cinema, arti visive, letteratura, moda, e molto altro.
Da segnalare, nel quadro di un'impaginazione dinamica e gradevole, l'apparato illustrativo (quasi trecento immagini) che non è solo accessorio al testo scritto ma costituisce in sé una sorta di "saggio trasversale" ricco di stimoli.