recensione diDaniele Cenci
La letteratura italiana
Cecco Nuccoli s'attizza per Trebaldino Manfredini e spera che gli succhi il 'becco'; il Panormita nell'"Hermaphroditus" resta incantato dalla conturbante bellezza dei pischelli perugini; Pacifico Massimo d'Ascoli nell'"Hecatelegium" s'intenerisce per Tolomeo, e Michelangelo nelle "Rime" è avvinto da Tommaso de' Cavalieri.
Agnolo Firenzuola si sbizzarisce "In lode delle campane" sulle chiappe maschili e sul "battaglio", mentre per l'anonimo della "Recueil Conrart" il calamaio è quella cosa "ghiotta che tengono fra natiche i ragazzi", che spesso han però anche "'l cazzo lungo un braccio".
Niccolò Franco in "Fottere in culo è naturalezza" mostra i fondamenti culturali dell'eros omosessuale, e di "Cazzone e i suoi satelliti" svela l'arcano il napoletano "Libro del perché".
La 'maccheronea' di Camillo Scroffa esalta il corpo di Camillo, mentre Dolce e Celio Magno nei 'capitoli' dedicati ai fanciulli gareggiano con i 'topoi' dell'amor bucolico e cortese.
Il Tasso si dichiara ad un allievo, Ruspoli inscena l'inchiappettata di un "povero scolare" da parte del maestro, e su tutti svetta l'Alcibiade fanciullo a scola di Antonio Rocco, capolavoro assoluto in materia.
Si chiude con una difesa del sesso coi ragazzi nella Corneide di De Gamerra, e coi gigli pederasti di Palazzeschi.