recensione di Gabriele Strazio
Famiglia normale, Una
Vi racconto la mia famiglia normale.
Per parlare di questo volume partirei dal suo sottotitolo, ovvero "Come abbiamo disinnescato la bomba gay".
Non sono certo, o almeno non del tutto, che questo in realtà sia avvenuto. Sarebbe stupendo poterlo finalmente affermare, ma purtroppo non penso che oggi questo ordigno che è il coming out sia stato reso del tutto inattivo.
Sicuramente le generazioni (di genitori, ma anche di gay) e i tempi sono cambiati, gli eventi stessi nel corso del tempo hanno influito direttamente o indirettamente, di proposito o meno, sulla percezione più o meno drammatica di certe rivelazioni, e non parlo solo della questione omosessuale - l'autore stesso nel prologo fa riferimento alle mutazioni in seno alla famiglia tradizionale in senso lato.
Dunque è vero, è certo vero, che le cose sono migliorate. È però altrettanto vero che, nella stragrande maggioranza dei casi, il ragazzo gay si trova ancora ad avere a che fare con una situazione potenzialmente esplosiva, districandosi tra filo blu e filo rosso a mano tremante, indeciso su quale tagliare senza poi doverne pagare le conseguenze.
Tutto questo è ben chiaro a Stefano Bolognini, che è riuscito nell'intento insieme più razionale ed emotivo di tutti: spostare i cardini dell'affaire coming out dall'astratto al pratico e soprattutto dal generale al particolare, ossia la sua stessa esperienza, il suo privato, la sua famiglia.
In Una famiglia normale l'autore intervista i suoi famigliari (e parte della famiglia acquisita, il suo compagno e sua madre) intorno alla questione omosessuale.
Le domande sono tante, uguali e diverse a seconda dell'intervistato, così come le risposte che non nascondono nulla, dalle perplessità all'imbarazzo, dalla serenità ai silenzi da decodificare. Ci sono tutti: la madre e il padre, il fratello e la cognata, la nonna, gli zii e i cugini.
I genitori restano come sempre il tasto più delicato, in quanto si ha la sana paura di farli soffrire o addirittura di perderli venendo allontanato.
Sono le persone che hanno passato anni a immaginare il futuro dei propri figli e che improvvisamente si trovano ad un punto zero, con il puzzle tutto da rifare.
Fortunatamente (come dice Giovanni Dall'Orto nell'introduzione al libro) l'amore si rivela sempre essere la chiave di lettura di certe dinamiche famigliari, in questo caso come in mille altri. Intendiamoci: avere un figlio gay non è mai stato il sogno nel cassetto di nessun genitore.
Questo però non significa che l'avere un figlio gay sia di per sé un impedimento al potersi considerare una famiglia felice, o pensare che non ci sia alcun futuro per il proprio figlio.
Viceversa, il non essere accettati del tutto fin dall'inizio non vuol dire necessariamente essere rifiutati.
Gli equilibri dei rapporti subiscono una botta e bisogna trovare da entrambe le parti (e magari insieme) le motivazioni e la pazienza per riprendere il filo e ricominciare a tessere la tela. Magari diversa, ma nelle stesse mani.
Il risultato di questo volume è una sorta di piccola "inchiesta", ma anche un racconto di vita a più voci, un quadro confortante sul come spesso, negli affetti, il percorso più naturale risulta essere anche la soluzione più efficace.
Questo libro ha numerosi protagonisti e differenti punti di vista, è per sua natura multiplo e sfaccettato, prestandosi alla lettura narrativa o a quella più manualistica.
È di un'estrema godibilità ed è anche utile, fornendo al lettore episodi al contempo unici e comuni, in grado di aiutare a comprendere e a comprendersi reciprocamente.
Onde evitare, appunto, esplosioni.