recensione diAldo Brancacci
L'alchimista omosessuale di Marguerite Yourcenar
Letto e citato nell'edizione francese L'Oeuvre au Noir, Paris, Gallimard, 1968, e nella traduzione italiana di Marcello Mongardo, riveduta da Gabrielle Cartago, L'Opera al Nero, Milano, Feltrinelli, Universale Economica 1986.
È notevole che i protagonisti dei due massimi romanzi di Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano e L'Opera al Nero, siano entrambi omosessuali. Ma quanto diverse sono la risonanza e l'eco di questa, che è certamente una scelta letteraria deliberata, e ricca di significati, volutamente lasciati impliciti. Adriano, l'imperatore saggio, forte e lungimirante, uomo di potere e insieme curioso di vita e di esperienze, sensuale e appassionato, attratto dalla conoscenza dei segreti della vita e del corso del mondo, possiede una capacità di attrazione immediata e potente, per quanto complessa e variegata sia la sua psicologia, e questa sua cifra così ricca di fascino ha forse in certa misura compresso, nelle memorie del pubblico e dei lettori, l'immagine di Zenone, protagonista dell'opera più tarda, che si distingue dalla prima anche per essere un'opera polifonica, quasi un grande affresco di un'intera epoca, quella dell'Europa del Nord dal 1510 al 1569.
Una prima chiave d'accesso a questo romanzo storico è dato dal titolo, doppiamente significativo. Opera al nero designa, nel linguaggio dell'alchimia, la fase di separazione e dissoluzione della sostanza, che era, si diceva, la fase più difficile e complessa della Grande Opera. Ancora oggi si discute se con quella espressione si indicassero audaci esperienze fisico-chimiche condotte sulla materia, o se invece essa non alludesse, simbolicamente - come, secondo Jung, tutta l'alchimia - alla trasformazione psichica, alla liberazione dello spirito da credenze e pregiudizi, a una sorta di processo d'individuazione dell'alchimista, condotto dal suo opus a un più elevato grado di coscienza. Molto probabilmente, scrive Marguerite Yourcenar nella Nota dell'Autore, posta in appendice al romanzo (pp. 447-69; tr. it. pp. 287-99), si trattò sempre di entrambe le cose, o alternativamente, o simultaneamente (p. 459; tr. it. p. 293). E questa affermazione, lasciata cadere in margine al romanzo, è rivelatrice, perché la compresenza di materia e spirito, nell'opera al nero, la presenza non trascendibile di corpo e coscienza, nella vita, è esemplare di tutto il discorso svolto nel libro, ne è la cifra più intima.
Un'altra chiave preziosa per penetrare il senso del percorso che, attraverso Zenone, la Yourcenar propone in quest'opera, è offerta dell'impegnativa citazione di un passo dell'orazione De hominis dignitate di Pico della Mirandola posto in epigrafe al libro. Si tratta del celebre esordio:
«Non ti diedi né volto, né luogo che ti sia proprio, né alcun dono che ti sia particolare, o Adamo, affinché il tuo volto, il tuo posto e i tuoi doni tu li voglia, li conquisti e li possieda da solo. La natura racchiude altre specie in leggi da me stabilite. Ma tu, che non soggiaci ad alcun limite, col tuo proprio arbitrio, al quale ti affidai, ti definisci da te stesso. Ti ho posto al centro del mondo affinché tu possa contemplare meglio ciò che esso contiene. Non ti ho fatto né celeste né terrestre, né mortale né immortale, affinché da te stesso, liberamente, in guisa di buon pittore o provetto scultore, tu plasmi la tua immagine...» (p. 10; tr. it. p. 8).
Zenone, personaggio fittizio, costruito tuttavia dalla Yourcenar componendo in sintesi, con rigore di storico e creatività di letterato, numerosi elementi, interessi, tratti biografici reali desunti dalla storia culturale dei Cinquecento, nasce, come figlio illegittimo, a Bruges all'inizio del XVI secolo. L'Opera al Nero ne segue il percorso di medico, alchimista e filosofo, dalla giovinezza fino alla morte, avvenuta per suicidio. Suicidio scelto, in carcere, per sfuggire agli orrori dell'esecuzione sulla pubblica piazza cui lo ha condannato un processo insieme ecclesiastico e civile intentatogli per la presunta empietà (o eccezionalità) della sua opera, della sua attività, e della sua vita - vita scarna, virile, essenziale, e per questo ardente, come poche mai. Vita sempre in bilico tra rivolta e compromesso, condotta prevalentemente da solo, alla costante ricerca di qualcosa, nel tentativo di sfuggire ai limiti imposti dalla cultura del tempo; vita fatta di lunghissimi viaggi attraverso tutta l'Europa e l'Oriente, e sostanziata dalla sua attività di medico dei poveri e degli appestati, di medico di corte, dalle sue ricerche scientifiche in anticipo sulla scienza ufficiale, dalle sue esperienze, quelle della carne e quelle dello spirito. Sconfitto, alla fine, in quanto processato e condannato a morte, Zenone ha raggiunto con la sua vita la propria meta, ed è questa vittoria che gli permette di sottrarsi, col suicidio, all'esecuzione.
Dal punto di vista intellettuale, e spirituale, Zenone è un tipo umano che, nota la Yourcenar, traversa, sotterraneamente, tutto il Rinascimento: uomo libero, segnato in parte ancora dalla Scolastica, ma tutto proiettato verso le arditezze tecniche della prima modernità, egli si situa «a metà strada tra il dinamismo sovversivo degli alchimisti medievali e il meccanicismo che avrebbe presto caratterizzato i nuovi tempi, tra l'ermetismo che pone un Dio latente all'interno delle cose e un ateismo che osa appena dire il suo nome, tra l'empirismo materialista del medico e l'immaginazione quasi visionaria dell'allievo dei cabbalisti» (p. 456; tr. it. p. 291). Per delineare il suo personaggio, l'A. si è ispirata, traendone tratti precisi e determinati, al grande Paracelso, al medico Michel Servet (anche lui, come Zenone, dedito a ricerche sulla circolazione del sangue), a Leonardo (soprattutto il Leonardo dei quaderni e degli appunti), a quel filosofo singolarmente audace che fu Tommaso Campanella. Ma la Yourcenar ha anche voluto che, per la sua nascita illegittima, e altri particolari della sua educazione, Zenone fosse accostato a Erasmo (omosessuale anche lui). Accanto a Zenone, poi, altri personaggi, le cui vite si incrociano con quella dell'alchimista, contribuiscono a tracciare un quadro vivo e concreto della realtà del Rinascimento nordico, colta da prospettive insolite e differenziate: la strada, la taverna, l'officina di lavoro scientifico, il chiostro, la taverna, e infine il carcere.
Nel Novecento, la vita dell'omosessuale è stata spesso letterariamente o ideologicamente tratteggiata, e, ancor più, vissuta, su binari - di libertà, di anticonformismo, di aperta rivolta, di ricerca (ricerca storico-letteraria rivolta al mondo della Grecia classica, ad esempio, oggetto di letture moralizzanti o di aperta censura nei secoli precedenti, oppure ricerca rivolta al mondo letterario, storico, politico, scientifico, della contemporaneità) - che l'avventura di Zenone in parte, discretamente, ricorda, sia pure in termini molto lontani dal manifesto esplicito. Ma è proprio la Yourcenar a parlare di uno «Zenone, le cui angoscie e i cui problemi non hanno cessato di essere attuali, o stanno ridiventandolo» (p. 8; tr. it. p. 6). Lo stesso processo che egli subisce, e nel quale entrano accuse di sodomia, ricorda, oltre a un dato ovviamente storico, anche i processi intentati agli omosessuali in tempi più recenti (esemplare quello a Oscar Wilde, senza dimenticare le accuse di immoralismo rivolte al Pozzo della solitudine di Radclyffe Hall, la cui vendita fu proibita dai tribunali inglesi); il perpetuo e «pericoloso» suo destreggiarsi tra rivolta e compromesso è un dato strutturale della vita di un omosessuale in una società eteronormativa e omofoba; e anche la sessualità di Zenone è descritta in termini che sembrano possedere, a un tempo, tratti di assoluta verosimiglianza storica (o letteraria; ma nel caso di un romanzo storico così attentamente e dottamente concepito, le due cose tendono quasi a identificarsi), e ricadute più attuali.
Di fatto, la Yourcenar fa parlare Zenone stesso delle proprie inclinazioni sessuali nel capitolo La conversazione a Innsbruck, dove l'alchimista si confronta con il cugino Henri-Maximilien sul tema erotico, ed entrambi esprimono e in qualche modo giustificano le loro, diverse, scelte. Henri-Maximilian ama la bellezza muliebre,
«Io invece, disse Zenone, apprezzo più d'ogni altro questo piacere più segreto, questo corpo simile al mio che riflette la mia voluttà, la gradevole assenza di tutto ciò che aggiungono al godimento le moine delle cortigiane e il gergo dei petrarchisti, le camicie ricamate della signora Livia e i corpetti di madonna Laura, questi rapporti che non si giustificano certo dietro il fine ipocrita di perpetuare la specie, ma che nascono da un desiderio e con esso finiscono, e se vi si infonde un po' di amore non è perché i ritornelli alla moda ti ci abbiano precedentemente disposto...» (pp. 152-53; tr. it. pp. 99-100; miei i corsivi).
E tutta la vita di Zenone non è separabile da questo tipo di sensibilità, dalle scelte che ne conseguono, dal carattere che essa presuppone e che contribuisce a forgiare. Quanto alla citazione dello splendido brano di Pico che apre l'opera, e che non è solo un'epigrafe generale, ma sintetizza il senso della vita di Zenone, anch'essa potrebbe essere considerata come il personale contributo della Yourcenar - espresso nei termini della cultura che le era propria, e direi anzi sua inconfondibile - al tema della vita come opus, per dirla ancora una volta in termini junghiani, e quindi a quello che Foucault chiamò di volta in volta il tema della techne tou biou, del «mode de vie», della vita come stile, cioè materia su cui lavorare, ogni giorno, per costruire il proprio sé, divenendo «soggetto», in un senso altro e ben diverso dall'«assujettissement» di partenza. Nell'Opera al Nero, come nel pensiero, e nella vita, della Yourcenar, il tema della vita come opus è centrale. Ma forse un'eco, certo assai personalmente rivissuta, della particolare risonanza che esso ha assunto nella moderna letteratura e saggistica omosessuale, fino agli odierni Gay Studies, si coglie proprio nella figura e nelle vicende di vita del suo alchimista omosessuale, Zenone.