recensione diMauro Giori
Plan B
Ci sono alcune cose del mondo gay che non ho mai capito. Una è la diffusa fissazione per gli etero. Perché darsi tanto da fare per sedurne uno? Masochismo? Omofobia interiorizzata? Confidenza narcisista del proprio illimitato potere di seduzione? O confidenza nell’illimitato potere di seduzione dell’alcol? Nostalgia revanscista del marlboro man anni Settanta? Credo freudiano, per cui se nasciamo tutti bisessuali si tratta solo di farglielo ricordare? Tanto tempo libero e pochi interessi per occuparlo?
Plan B ha il merito di variare sull’argomento presentando un intreccio con una sua originalità e un finale liberatorio. Il protagonista, Bruno, eterosessuale praticante, vuole vendicarsi della sua ex fidanzata, Laura, che l’ha piantato per un altro, Pablo. Siccome si racconta che una volta abbia costui avuto anche una storia con un uomo, la brillante idea di Bruno è quella di sedurlo in modo che Laura lo pianti e torni sui suoi passi.
Un piano diabolico, non c’è che dire. E in effetti tutto sembra filare liscio: Pablo si lascia avvicinare senza opporre resistenze, diventa presto il suo migliore amico e lo invita persino a dividere l’appartamento con lui. Effettivamente sfondava una porta aperta: se diffidenze il povero Pablo aveva, erano solo quelle di un gay prudente, che sa di poter confidare nell’alcol per la cosa di una notte, ma non per la relazione di una vita. Se non altro perché l’alcol ha un suo costo.
Quello che Bruno non ha calcolato (forse non ha mai letto Freud, e forse è un bene) è che in amore, come in guerra, si sa come inizia ma non si sa mai come va a finire, fino alla fine. Ora, il piano di Bruno ha funzionato alla perfezione: Laura lascia Pablo e chiede a Bruno di tornare con lui. Solo che lui rifiuta. Il fatto è che dopo due ore di interminabili corteggiamenti a suon di spinelli, baci per scherzo, carezze per scherzo, spinelli per scherzare meglio, carezze senza scherzi, Bruno si è un po’ confuso le idee e si è ritrovato innamorato di Pablo.
Il finale è liberatorio e confida nella diffusa convinzione che la bisessualità sia solo una stadio preparatorio all’omosessualità utile per chi ancora teme di chiamare le cose con il loro nome, soprattutto quando il nome è un po’ inflazionato nei discorsi pubblici e sovente associato con città fatte arrosto, gironi infernali e altre amenità che non è detto debbano piacere a tutti.
Nell’insieme una storia interessante, diretta alla meno peggio in digitale con due lire da un regista esordiente. In questi casi non si sa mai se l’antonionismo di certe inquadrature è voluto o è dovuto a inesperienza delle capacità di sintesi del montaggio, ma tant’è, il film si lascia vedere ed è una variazione godibile rispetto ai soliti film gay per festival gay.