recensione diMauro Giori
Comizi di Pasolini
Nel 1962, reduce dallo scandalo della Ricotta e mentre lavora a Il Vangelo secondo Matteo, Pasolini ha anche la pensata di girare un’inchiesta sui costumi sessuali degli italiani. Il progetto iniziale è molto ambizioso e vorrebbe affrontare tutte le possibili questioni relative al sesso e all’insieme di elaborazioni socio-culturali che lo circondano. Prostituzione, pederastia, psicoanalisi, matrimonio, sado-masochismo, feticismo, politica, morale e igiene sono solo alcuni degli aspetti annotati da Pasolini nei suoi primi appunti. Il progetto viene poi ampiamente ridimensionato, così come la schiera di “esperti” che Pasolini pensava di intervistare alternandone le opinioni a quelle dei comuni cittadini interrogati in giro per la penisola.
Ne esce Comizi d’amore, un documentario originale, preso per un esempio di “cinéma veritée”, cioè di inchiesta in cui a parlare dovrebbero essere immagini e opinioni degli intervistati senza filtri occultati dal linguaggio e dalle convenzioni del cinema, ma in realtà si tratta a tutti gli effetti di un film a tesi in cui molti e molto diversi sono gli interventi dell’autore, anche in post produzione (ad esempio il regista ritocca alcune delle sue domande, finendo anche con l’attribuire sfumature diverse alle risposte raccolte).
È quanto emerge soprattutto nel capitolo Schifo o pietà? dedicato all’omosessualità, che rimane uno dei temi portanti del film. Pasolini intervista alcuni giovani del nord in una balera, piuttosto scandalizzati dall’argomento; poi alcuni giovani di Catanzaro, scandalizzati dall’argomento; e ancora dei borghesi in viaggio su un treno, molto scandalizzati dall’argomento. Il capitolo si apre con una breve intervista a Ungaretti, per nulla scandalizzato dall’argomento (il suo intervento è anche per questo fra i momenti più alti del film) e si chiude con le opinioni di Moravia e Musatti sullo scandalo. Ma in origine Pasolini aveva raccolto dichiarazioni più complesse e contraddittorie di Orsini e dello stesso Musatti, poi scartate, così come aveva asportato al montaggio la confidenza di uno di quei ragazzi di vita che, come già allora sapevano tutti, popolavano le sue notti.
Dagli esiti, dalle domande poste e dagli interventi in postproduzione emergono così non solo lo stato degli italiani prima della “rivoluzione sessuale”, ma anche, più o meno indirettamente, le ambivalenze delle posizioni di Pasolini stesso. O meglio del Pasolini del 1962, perché il suo rapporto con la sessualità, e in particolare ovviamente con la propria omosessualità, nonché le forme in cui filtra nella sua opera, cinematografica e letteraria, è enormemente complesso e muta alquanto nel tempo.
Uscito solo nel 1964, il film ebbe una circolazione pressoché inconsistente, ma rimane uno degli esiti più curiosi e originali del Pasolini documentarista.
Rimando chi voglia approfondire a un mio saggio apparso su Studi pasoliniani e ora disponibile online.