Tanzio da Varallo

La commozione davanti alla bellezza maschile

27 luglio 2005, "Pride" n. 13, luglio 2000

Anche solo per ammirare tre quadri davvero emozionanti, la mostra dedicata a Tanzio da Varallo, di recente inaugurata a Palazzo Reale a Milano, merita senza dubbio una visita.

E certo l'emozione è un effetto che i vescovi della Controriforma raccomandavano premurosamente agli artisti del loro tempo. Si diceva: un quadro è fatto innanzi tutto per commuovere, il fedele di fronte ad esso deve sentirsi coinvolto, possibilmente anche sconvolto, dalle intense passioni che vi sono rappresentate.

Forse i due maggiori arcivescovi milanesi dei tempi della Controriforma, Carlo e Federico Borromeo, si compiacerebbero al constatare che molti dei quadri prodotti nella loro epoca mantengono, a secoli di distanza, una straordinaria carica emotiva. Ma probabilmente la loro soddisfazione in parte svanirebbe, se si rendessero conto che le emozioni destate oggi non sono esattamente quelle a cui loro miravano. E alcuni dipinti di Tanzio mi par proprio che producano corpose emozioni non molto ortodosse.


Visitando la mostra viene l'idea che Tanzio riesca bene ad esprimere la religiosità di inizio Seicento, e con efficacia (anche a quattro secoli di distanza), quando raffigura episodi del suo tempo, quando il soggetto dei suoi quadri sono, per esempio, certi episodi della vita di San Carlo Borromeo. Allora San Carlo, rigorosamente rinchiuso in paramenti talmente voluminosi da far pensare ad uno scafandro, mostra un viso e delle mani che sembrano scavate e spolpate dalle sofferenze della vita terrena e dall'intensità dell'esperienza religiosa.

Ma quando i soggetti rappresentati sono gli eroi dell'Antico Testamento o i santi delle origini del cristianesimo, allora le emozioni sono di tutt'altra natura. Questo vale soprattutto per tre splendidi quadri che rappresentano rispettivamente David con la testa di Golia (Varallo, Pinacoteca), San Sebastiano curato da Sant'Irene e da un angelo (Washington, National Gallery of Art) e San Giovanni Battista nel deserto (Tulsa, Philbrook Museum of Art). Tre immagini di uomini di commovente bellezza, che, volta a volta, indossano i panni di leggendari eroi della religione cristiana, e per i quali necessità di scena, se così le vogliamo chiamare, impongono la nudità o vestimenti sommari.

E del resto di uomini discinti nei quadri di Tanzio da Varallo se ne trovano parecchi: nell'esposizione milanese sono presenti due diverse versioni di David e ben tre di San Giovanni Battista. Inoltre, assenti in mostra, ma annoverati nel catalogo delle opere di Tanzio, ci sono anche un San Lorenzo senza veli disteso sulla graticola del martirio e un giovanissimo San Benedetto che, nudo, si rotola tra i rovi per vincere le tentazioni della carne.


Nel 1600, poco più che ventenne, Tanzio da Varallo si trasferisce a Roma; quando, quindici anni dopo, torna in Lombardia, i suoi occhi sono pieni della pittura di Caravaggio.

Certo non è più l'epoca di dipingere bacchini malati o storditi dal vino, e tuttavia ad uno dei San Giovanni dipinti da Tanzio, e presente in mostra, cadono le palpebre sugli occhi come ai ragazzi di Caravaggio.

Peraltro, il ricordo di Caravaggio è continuo nelle pose e negli sguardi dei David e dei giovani santi di Tanzio. Così, di fronte allo splendore di quei corpi dipinti un visitatore avvertito della mostra milanese può pensare: "ma allora anche Tanzio...?".

Anche lui si emozionava dipingendo quel David dal viso di ragazzino, con quegli occhi trasognati e quei riccioli biondi al vento, ma anche con quel braccio possente e sproporzionato che tiene saldamente la testa mozzata di Golia. Oppure si commuoveva dipingendo un San Sebastiano stralunato e livido (guardando le più tradizionali scene del suo martirio tutti pensavamo che le frecce l'avessero ucciso, e invece no, nessuna ferita mortale), sorretto da Sant'Irene, mentre un angelo gli estrae dalla carne, a prosecuzione e compimento del martirio, le frecce, ad una da una.


Infine, riguardo alle emozioni provate dipingendo le diverse versioni di San Giovanni Battista, si potrebbe ricordare che la scelta di rappresentarlo come un giovane di bell'aspetto, invece che come un uomo fatto, barbuto e consunto dalla dura esperienza del deserto, è frequente tra i pittori italiani e spagnoli a cavallo tra XVI e XVII secolo. Occasione che Tanzio non si lascia sfuggire, ritraendo soprattutto nel caso del San Giovanni di Tulsa un giovane di esaltante bellezza, in una posa in cui ogni parte del corpo sprizza vitalità e energia, che, poi, ogni visitatore della mostra milanese vedrà nel verso che la sua sensibilità più gli suggerisce.
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