Intervista
Incontro Eric Jourdan nella sua bella casa, in uno dei quartieri più esclusivi di Parigi, nei pressi del Louvre e a pochi metri dalla sede della Comédie française. Mi accompagna e se necessario mi fa da interprete Daniele Cenci, traduttore del suo romanzo Per sempre.
Uomo affascinante, fronte alta, occhi grandi e luminosi, capelli brizzolati, elegante, ma di un' eleganza molto discreta, Jourdan ci accoglie con un sorriso aperto, dietro il quale non è difficile intravedere la fulgida bellezza di qualche decennio fa. Compiaciuto della nostra ammirazione ci racconta che la casa in cui siamo è stata abitata da Stendhal, uno dei suoi scrittori preferiti, e che a circa 200 metri da lì è vissuto Lautreamont, l'autore dei Canti di Maldoror. "Stendhal e Lautreamont", aggiunge: "i miei due numi tutelari".
Quando ha accettato di concedermi l'intervista, Jourdan ha posto due condizioni: niente fotografie e nessuna domanda relativa al suo padre adottivo, il grande scrittore Julien Green, e al loro rapporto, oggetto di dicerie di ogni tipo.
Per le foto è irremovibile, non ama essere fotografato. Provo ad accennare all'altra condizione.
Perché non vuole che le si facciano domande su Julien Green?
Il fatto è che molto spesso si tende a fare allusioni alla storia della mia adozione per sminuire la mia opera, e questo non mi piace.
Naturalmente ho adorato il mio padre adottivo, ma non abbiamo mai praticato lo stesso genere di scrittura e la nostra visione della vita è stata sempre agli antipodi.
Juliern Green era un fervente cattolico, io sono un pagano, un iconoclasta. Sono convinto che tutte le chiese e le religioni, in primo luogo quelle monoteiste, sono tenute in piedi da persone che esercitano la loro influenza sugli individui e sulla collettività sotto la spinta esclusiva di interessi materiali. Colpevolizzano la gente per "fargliela pagare", sia in termini di offerte in denaro che di rimozione delle proprie pulsioni.
Lei non ha mai avuto un buon rapporto con il mondo intellettuale e con i media. Perché ?
Nessun rapporto: non leggo giornali, non conosco la stampa, ignoro le novità letterarie, mi sono isolato, come in una bolla. La critica francese quasi mi ignora, mentre la mia opera viene accolta con entusiasmo negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e viene tradotta nei paesi latini.
A dire il vero trovo che anche l'ambiente gay di Parigi sia troppo spesso pieno di preconcetti di ogni tipo e preferisco starne alla larga. Mio padre diceva che prima della seconda guerra mondiale il mondo intellettuale parigino era ben diverso: circa trecento persone che si conoscevano e che amavano incontrarsi e confrontarsi. Si prestava molta attenzione anche a chi la pensava in maniera diversa.
Mio padre amava molto il filosofo cattolico Maritain, ma nutriva grande rispetto anche per Sartre e Camus, eppure gli esistenzialisti non erano certo vicini alle sue idee. Oggi è diverso: entrare a far parte dell'ambiente letterario significa giocare una partita in cui barare è la regola, e la cosa non mi diverte affatto.
Dei suoi libri in Italia è stato tradotto fino ad oggi solo Gli angeli malvagi, un libro che ha avuto una storia molto accidentata, ma che è stato molto letto...
Sì, in Francia se ne conta una ventina di edizioni, per lo più clandestine. Il libro ha infatti subito un ostracismo di Stato durato una trentina d'anni. Venne vietato due volte, prima da un governo socialista, poi da un governo di destra. Io non credo però che la proibizione fosse legata solo all'omosessualità, ma soprattutto al fatto che i protagonisti fossero dei minori. Fortunatamente era minorenne anche l'autore... altrimenti avrei rischiato la prigione.
Per sempre, che esce adesso in Italia, è un romanzo diverso, ma ha molte somiglianze con Angeli malvagi...
Sì, è così. Volevo che Per sempre fosse un seguito logico degli Angeli malvagi, del mio modo di vedere la sfera sessuale, o meglio sensuale.
Anche qui due personaggi giovani, anche qui un amore assoluto, ma in questo caso volevo rappresentare una passione che né l'uno né l'altro dei protagonisti riescono a comprendere fino in fondo e a confessare. In assenza di una rivelazione, i loro sentimenti diventano allora sempre più esacerbati e la forza devastante della loro reciproca attrazione finirà per mostrarsi solo nel sogno, ma con una precisione più forte di una reale unione fisica.
Contrariamente agli Angeli malvagi, nel quale tutta l'azione è concentrata nel breve lasso di tempo di un'estate, qui la storia si dilata, con altri personaggi, per oltre sessant'anni, e questo le permette di rappresentare il mutamento nella percezione dell'omosessualità.
Si, in questo senso è importante nell'ultima parte del libro il ruolo del personaggio di Tom, il giovane a cui è narrata, sessanta anni dopo, la storia della passione dei protagonisti, perché egli impara da questa amara lezione ad essere attento a qualsiasi segnale e pulsione d'amore dentro e fuori di sé, omo o etero che sia. È come una staffetta, è a lui che viene passato il testimone.
Quanto ha contribuito, secondo lei, la letteratura a questo passaggio dalla paura dell'omosessualità alla sua visibilità e ad una più serena accettazione di sé?
Alcuni autori li amo di più, altri meno, ma la letteratura ha giocato un ruolo molto importante nel cambiamento della mentalità.
La Yourcenar, per esempio, lo ha fatto immergendosi nell'antichità, Genet (che ho incontrato una volta e che non ho amato né per i suoi modi scostanti né per il suo stile) dietro lo schermo di personaggi della malavita e del popolo, ha di fatto consentito al lettore borghese di confrontarsi con questa realtà.
Poi ci sono alcuni scrittori americani che trovo straordinari, James Purdy e John Rechy innanzitutto, autori rispettivamente di Rose e cenere e di Città della notte. Non amo invece Gore Vidal che, secondo me, scrive libri per bambine ritardate...
Che può dire a chi l'accusa di dare un'immagine tragica dell'omosessualità?
Molti mi rimproverano di scrivere libri che finiscono male, e io ribatto loro che l'amore prima o poi finisce sempre male.
In realtà però i due libri successivi al mio esordio, Saccage e Le garçon de joie, si concludono felicemente.
Anche il mio prossimo libro, di cui è prevista la pubblicazione nel 2008, saràcarico di felicità, estremamente emozionante. Si intitola Trois coeurs ed è una specie di autobiografia relativa alla prima parte della mia vita. Quando l'ho finito mi sono detto: è come aver fatto un trasloco, mi sono liberato di una parte del mio passato che non volevo trasportare nel mio futuro.
Quanto c'è di autobiografico nei suoi romanzi?
Tutto è autobiografico. Si scrive sempre a partire dalla propria vita. Non esiste l'invenzione, l'invenzione è se stessi. Se scrivessi la storia di un ragazzo e di una ragazza che si innamorano non sarei autentico, non sarei uno scrittore.
Bisogna scrivere come Schiller e Kafka, narrare quello che si è vissuto, per poi ovviamente trasfigurarlo con l'immaginazione.
A volte è difficile rinvenirne le tracce, ma la mia vita è là, nei miei libri.
In Per sempre, come già in Angeli malvagi, è come se la Storia non esistesse o esistesse come un'eco lontana. La sua attenzione di narratore è tutta concentrata sui corpi dei ragazzi. È così?
Sì, in entrambi questi romanzi è evidente l'urgenza di porre al centro della narrazione il corpo nei suoi dati materiali e psichici, reali ed onirici. I conflitti di classe, come lo sciopero che causa il licenziamento di uno dei due protagonisti o la guerra che si profila minacciosa, restano volutamente sullo sfondo. Non erano l'argomento della mia storia, e poi, al posto di tante elucubrazioni noiose che appassionano tanto gli intellettuali francesi, io vorrei che si prestasse più attenzione al corpo, che si imparasse a curarlo, a farlo godere, a far godere gli altri, a conoscere tutto quello che lo magnifica.
La cultura francese non mi piace, da questo punto di vista è perversa. Trovo che nella cultura anglosassone ci sia più apertura mentale e rimpiango di non aver compiuto i miei studi negli Stati Uniti. Nei campus non si agitano idee e filosofie come spauracchi, ma ci si concentra più pragmaticamente sull'individuo.
Conosce l'Italia?
Adoro l'Italia. Mio padre adottivo voleva venirci a vivere perché si era stufato della mentalità francese. Nel 1994, incoraggiato dagli amici italiani (in particolare il critico Carlo Bo e il poeta Giorgio Caproni), stava per comprare una villa che era appartenuta a Caterina Sforza a Forlì, ma non se ne fece niente: complicati i lavori di restauro e le condizioni di salute di mio padre si stavano aggravando.
Amo molto il Friuli, Trieste, il Nordest. Adoro Bologna, Roma, la costiera amalfitana, la Puglia, la Sicilia; mi intriga molto la costa di La Spezia: lì al largo di Lerici è morto Shelley, uno dei poeti da me più amati. Ho qualche problema con Venezia perché non mi piace l'acqua stagnante e con Firenze, città bellissima, ma trovo i fiorentini così pieni di sé....
Attualmente c'è un rinnovato interesse per i suoi libri. Come lo spiega?
Non saprei, ma ne sono contento. Per molti anni ho conservato i miei manoscritti senza sentire il bisogno di pubblicarli ad ogni costo. Alcuni editori, dopo Gli angeli malvagi, erano molto disponibili ma mi chiedevano sempre di modificare questo o quel passaggio, di sopprimere interi capitoli oppure mi chiedevano di modificare il finale. Qualche volta ho ceduto, ma sto rimediando con nuove edizioni integrali.
C'è un inedito, Le jeune soldat, del 2000, che narra la vicenda di un incesto tra un fratello e una sorella, con un terzo personaggio che per salvare l'"onore" della famiglia e la morale dominante sposerà la sorella, ma diventerà l'amante del fratello. Un editore a cui l'avevo dato in visione ne è rimasto scandalizzato, ma stavolta non sono disposto a cambiare una virgola.
Scheda
A fare del romanzo un "caso", oltre allo scandalo della minore età dei protagonisti e dello stesso autore, si aggiunge un altro elemento che ha a che fare con la vita privata di Jourdan, il legame con lo scrittore Julien Green, cattolico e omosessuale, di quarant'anni più grande di lui. Gli ingredienti per pettegolezzi di ogni tipo, in epoca pre-Stonewall, ci sono tutti e a Parigi, dove c'è una consolidata tradizione di maldicenze tra intellettuali gay (si pensi alle velenose battute di Genet su Cocteau e sulla sua relazione con l'attore Jean Marais), c'è chi mette in dubbio l'autenticità del libro di Jourdan e avanza il sospetto che il romanzo sia stato scritto a quattro mani, se non dal solo Green.
I due non si lasciano travolgere e un po' di anni dopo, quando muoiono i genitori di Jourdan, Green adotta il giovane scrittore. Quando non è possibile sposarsi, ci si adotta, aggiunge con malizia qualcuno. Green e Jourdan ignorano, o fingono di ignorare, e vivono insieme fino alla morte di Green nel 1998.
Vissuto all'ombra di un "padre" ingombrante, un "classico" della letteratura del Novecento, accademico di Francia e autorevole esponente della cultura cattolica (ora è sepolto in una cappella della chiesa di Sant'Egidio a Klagenfurt in Austria), Jourdan ha continuato a pubblicare i suoi libri scandalosi e controcorrente, ma rifiutando categoricamente ogni esposizione mediatica e conservando, anche dopo la morte del "padre", la sua riservatezza.
Tra i suoi libri di maggior successo non ancora tradotti in Italia, si ricordano Saccage, apparso in edizione integrale nel 2003, ma pubblicato una prima volta con un altro titolo e con molti tagli nel 1960, la trilogia Charité, Rivolte, Sang, usciti tra il 1985 e il 1992, L'amour brut e Le songe d'Alcibiade del 2006, Au gémonies del 2007.
In Italia è stato tradotto nel 1990 Gli angeli malvagi (Guanda) e solo ora esce, tradotto da Daniele Cenci, Per sempre (Edizioni del Cardo, Albano Laziale 2007, pp. 256, euro15,80).
Per chi voglia approfondire la figura di Julien Green e il suo legame con Jourdan si può consultare la biografia di Nicolas Fayat, Julien Green "J'ai aimé" (Editions Bartillat, Paris 2003).