Elio Pecora e le intermittenti geometrie del cuore

Incontriamo a Roma Elio Pecora, maestro di poesia, critico, biografo di Penna, mentre esce il nuovo libro "Simmetrie" (Mondadori, € 12).

Aut n. 98, febbraio 2008, pp. 20-23

Elio Pecora, 'sole' del verso contemporaneo, spinge stavolta il 'gregge' dei lettori fin sull'orlo del baratro. Allontanandosi dal giardino dei sogni, l'umanità ruzzola giù: gli astri si sfaldano come nubi o respiri, e noi annaspiamo nella voragine, lo sguardo rivolto alla flebile luce che filtra lassù.

"Risa, musiche, amori.../ Tutto accennato e lasciato/ nell'altrove di un sogno/contro la voglia confusa". La vita, navicella su un oceano infinito; tiepido il vento dell'allegria, mentre folle randage s'aggirano inquiete nei labirinti della Storia, verso una via di impossibile fuga: "in ogni spigolo o lembo, / dietro le viscere e il cuore, / s'aprono spazi imprevisti / e ancora abissi e cunicoli".


- L'immenso mare dell'umana follia, la nostalgia per un passato in cui i conti non tornano mai, un futuro che sfugge... Il tuo disincanto palpita d'una profonda fedeltà alla Terra.

Esploro la condizione umana nel mistero di un universo dove tempo e distanze sono abissali rispetto alla brevità del nostro passaggio. La realtà è complessa, piena di attese e pretese, attratta verso un nucleo primordiale che va al di là delle nostre esistenze e ricomprende l'energia animale, vegetale, astrale. Una visione eraclitea, vicina ai latini del"carpe diem": Orazio e Ovidio (sto rileggendo "Le metamorfosi") già sondavano la precarietà della vita...

- Se non c'è alternativa alla morte, che come un'ombra vela l'avvenire, cogliere l'attimo fuggente appare una ricompensa provvisoria. Nulla resta, se non nel ricordo, e la memoria può anche ravvivare il piacere d'una felicità sfiorata, ma spesso ci spinge a riflettere su ciò che avrebbe potuto essere...

Sì, l'esistenza è un granello smarrito nel pulviscolo cosmico, e allora? Abitiamola fino in fondo! "Cogli l'ora" (o "afferra l'essere", nel "Faust" di Goethe) non significano "datti alla pazza gioia e scordati di tutto", ma vivi il presente, che è la somma di passato e futuro (che sarà tra un istante). Fin dall'infanzia, ho percepito come ci consumavamo inutilmente paragonando il passato al futuro, senza mai stare nel presente. Noia e depressione non nascono forse dal dimenticare che "croce e delizia", gioia e dolore si alternano incessantemente?

- Il libro include delle prose: "La naia", col soldato che tenta il suicidio per ricongiungersi all'amato; "Viaggi", con un uomo in cerca d'un altro paradiso dove i ragazzi non neghino baci e carezze...

Sono anch'esse 'esercizi poetici', perché qui il ritmo è scandito in una concisa espressività. Di queste prose, nate tempo fa e confluite in una plaquette ("L'occhio corto", Edizioni del Girasole, 1995), ho scelto le più congeniali, dove descrivo la vita degli altri. All'epoca appuntavo quel che mi accadeva o mi raccontavano. Il soldato innamorato è esistito veramente: sorpreso a far sesso col compagno, li avevano divisi, trasferendo l'uno lontano, sbattendo l'altro in cella, dove s'era dato fuoco. I superiori alla fine si arresero: se l'episodio fosse venuto fuori, sarebbe stato un'evidente denuncia della condizione di sopruso e repressione che regnava in caserma. Molti di questi "cartoni", che si affacciano sulla condizione umana scevri da pregiudizi, erano in nuce in "Estate"...

- "Estate" (1981), la tua terza prova narrativa [dopo "La chiave di vetro" (1970) e "I triambuli" (1973, ma uscito nel 1985)], narrava l'intellighenzia romana, che, al di là dei suoi amori e rancori, aveva allora un suo spessore...

Era la storia parallela di due coppie, una gay, l'altra etero, in cui tutti si danno corpo e anima, si scontrano, si ritrovano. Quanto alla comunità culturale che animava la capitale, l'ho vissuta profondamente, trasportandola nella finzione con affettuosa ironia.

- In "Simmetrie", mentre l'umanità si approssima alla fine, tu registri "Un brusio. Un tonfo. L'eco di una risata": sembri esprimere il suo suicidio di massa nel solco dei maestri del nostro Novecento (penso a un clown/equilibrista del linguaggio come Manganelli). Il libro richiama per frammenti il "De rerum natura" di Lucrezio, "I pensieri" di Marco Aurelio...

Ho assorbito il nutrimento dei classici, assaporandone fin da ragazzo le opere. Ma ho 'divorato' anche molti moderni, discorrendone su quotidiani e periodici. Da sempre la lettura è un'avventura della conoscenza, che dilata la nostra visione della vita: succhi poi condensati nell'invenzione creativa, specie in questo nuovo libro.

- In "Simmetrie", dove il tuo magistero poetico si ricapitola in una ricca tavolozza di immagini tra annientamento e ansia di sopravvivenza, colpisce l'estrema rarefazione del tuo 'lessico familiare'...

Salvo l'Alzheimer o un qualch'altro accidenti, l'autore deve navigare in ogni nuova opera, con una 'strumentazione di bordo' sempre più calibrata. Non mi lascio sviare da una compiaciuta vanità: prosciugo la mia materia, dispiegando l'energia del verso con un maggiore rigore. Ho rastremato il mio stile approdando alla tessitura 'sincopata' di "Simmetrie".

Credo nella 'velocità' della scrittura: in tal senso la Morante, che s'invaghì della "Chiave di vetro", evocò allora Stendhal. Non sopporto più, neppure nelle mie letture, le minuziose lungaggini. Penso che il lettore possa essere stregato dalla scrittura, senza che lo si debba costringere ad assorbire eleganze e agghindamenti vari: siamo in un momento pieno di ansia e frustrazioni, non si può perder tempo anche in letteratura con inutili rifiniture.

Nel libro ho riversato la mia ricerca di simmetrie, di segrete corrispondenze tra ombra e luce, paura e allegria.

Una gemma che lenta si srotola in primavera, è segno d'una ferita che s'apre, d'un dolore che muta nella grazia d'una foglia o d'un fiore. Questa foglia in seguito cade, il fiore appassisce: e il ciclo si rinnova, in un universo dove anche le stelle "ingiallano e scemano".

Pencolare sull'abisso non è la fine, ma la condizione dell'uomo fin dalla notte dei tempi, la realtà stessa della natura: siamo qui oggi, questo ci è dato, cerchiamo di starci al meglio, nonostante la fragilità del corpo, le malattie, la stupidità (compresa la nostra!), le guerre, le rovine.

Nell'umanità d'oggi c'è una forte minoranza che di giorno in giorno è sempre più consapevole di dover affrontare nodi non più eludibili, di dover escogitare delle soluzioni prima che sia troppo tardi. I vari poteri economico-politici ed etnico-religiosi ritardano una presa di coscienza collettiva.

Ho dedicato una poesia alla folla della metropolitana: una discesa verso il fondo di migliaia di persone, una massa che mi suscita per lo più empatia, composta com'è da gente che esce prestissimo di casa per andare al lavoro o chissà dove, e di sera torna a casa assai tardi, stanca morta. Corriamo, eppure dovremmo fermarci a pensare: "Ma dove stiamo andando? Perché tutto questo affanno?"

- Da sempre il mondo delle favole attrae il tuo estro poetico...

Mi sono avvicinato al magico universo delle fiabe in radio tanti anni fa. Dopo la raccolta "La ragazza con il vestito di legno" (Frassinelli, 1992), e la parziale 'traduzione' del "Cunto de li cunti", diedi alle stampe settanta "Favole dal giardino" (Empirìa, 2004), dove gli animali non hanno coscienza del proprio morire, soffrono in silenzio, in questo superiori agli umani...

Se Basile parlando di "trattenemiento de peccerille" usava un ironico eufemismo, Propp in "Morfologia della fiaba" e Bettelheim in "Il mondo incantato" hanno dimostrato come la fiaba venga raccontata al bambino per educarlo alla vita, attraverso le prove che toccano al protagonista per approdare alla piena maturazione e alla meta. Pinocchio deve far fronte alle sfide dell'inganno, della stupidità e della morte, e in tutte le fiabe - Biancaneve, Cenerentola, Pollicino, Cappuccetto Rosso - bambini o adulti combattono corpo a corpo con le loro paure (orchi, lupi, crudeli matrigne).

Quanto ai finali (che dire della metamorfosi del ciocco di legno in "un ragazzino perbene"?), son quasi sempre posticci, ma il racconto deve pur chiudere, e rientrare nei limiti di una trasgressione "tollerabile".

- Tra i lettori più attenti delle tue fiabe si trovano centinaia di ragazzini. Penso a tutto il lavoro che fai di divulgazione della fantasia poetica nelle scuole, specie dopo l'uscita del tuo "L'albergo delle fiabe e altri versi" (orecchio acerbo Editore, 2007).

- Il libro è stato illustrato da Luci Gutiérrez, una bravissima pittrice argentina. Ho avuto la gioia di avere un folto pubblico di bimbi - prima in una scuola elementare, poi alla Fiera della Piccola Editoria. Circa trecento allievi mi hanno onorato imparando a memoria le mie fiabe, se ne sono ispirati per i loro disegni, le hanno recitate con partecipazione.

Mi piace pensare che, quando me ne andrò, qualcuno di loro ne ricorderà ancora qualche verso. Per me la poesia è un "esercizio di semplicità".

Se guardiamo al Novecento italiano, Debenedetti parlava per Saba di lingua relazionale, che pone in contatto col mondo, dove il significato è strettamente legato al significante, al contrario della poesia ermetica che insegue un altrove interiore.

Le mie letture sconfinate e disordinate sono state una fonte di educazione al sentimento della vita che avevo intorno.

Ditemi quale altra scienza o umana espressione può, più della letteratura, narrare la nostra storia: come si ama, come ci si arricchisce, come ci si distrugge, come si muore.

La scrittura ci riesce attraverso una serie di personaggi e vicissitudini nelle quali ci immedesimiamo, dilatando l'area della nostra coscienza.

Chi sapeva prima di Proust quanto potesse essere complesso un cespuglio di biancospino, o cosa fosse in grado di smuovere nella memoria un biscotto inzuppato in una tazza di tè? Questo lo fa da sempre la poesia: leggo Saffo, Catullo, Whitman, Dickinson, Penna, Pasolini o Rimbaud, e ne so più dell'amore, ne riemergo trasformato.

- A proposito di Penna, di cui sei biografo e curatore instancabile (cito almeno l'edizione accresciuta del tuo "Sandro Penna: una cheta follia"), si coglie una sua segreta cifra in "Simmetrie", quando insisti sull'incertezza dei sogni.

Si, Penna suggerisce che la vita è un confuso sogno, una sorta di veglia annebbiata in un paesaggio in cui ci aggiriamo senza coglierne fino in fondo le leggi. Guarda l'irrequietudine del mondo di oggi in cui tanta gente si agita per un nonnulla. Vacanze 'da sballo' prenotate sei mesi prima, in India, a Bali, di qua, di là: a fare che cosa? a cercare se stessi?

- Come dice Kavafis ("La città"), traslochiamo momentaneamente la nostra ansia...

Sì, si portano dietro noia e frustrazioni. È una brutta copia del tipo di viaggio che poteva intraprendere Goethe in un'Italia giardino del sole e della libertà dei sensi, o dell'itinerario greco di Byron che aveva come molla una sete di eroismo ed esotico erotismo. Il turismo di massa si fionda su mete lontane, trascurando le bellezze che ha intorno.

Io non sento di conoscer bene nemmeno Roma, e perciò non sono curioso di andare altrove, salvo se accompagno una persona che amo a visitare città e genti nuove: ma non sopporto di dover vivere per la vacanza.

Ho incontrato un tassista che paga a rate (500 euro al mese!) i suoi viaggi passati e futuri, ma ignora che la vera vacanza potrebbe farsela, fosse anche per un'ora sola, camminando per strada.

E io ogni giorno mi riservo del tempo: osservo un albero perdere le foglie, ascolto discorsi di passanti, mi cattura una storia...

Chi dice che i poeti siano per forza confinati in torri d'avorio? A dicembre, a Roma, mi hai accompagnato al 17° "compleanno con le corna" della one-night Muccassassina al Qube; poi al trentennale dello storico Alibi, e infine all'Alien (con Boy George in consolle).

La tua curiosità per la cultura di massa, cucinata magari in salsa gaya, non demorde nonostante tutti i tuoi impegni (penso, tra l'altro, alla rivista "Poeti e Poesia" che dirigi).

Dove la trovi la forza per riservare qualche serata anche a questi contatti con un mondo di certo più chiassoso rispetto a quello 'ovattato' in cui ti trovi a operare?

In discoteca mi piacerebbe ci fosse un po' meno agitazione, ma trovo bello immergermi anche in questa realtà. Cesserò di essere vivo quando smetterò di interessarmi agli altri, anche a quelli che condividono la notte le loro solitudini. Se bado solo a me stesso e alle mie piccole cose, sono bell'e morto o sto dormendo. Il tempo si trova, basta superare la proprie paure, che spingono a chiudersi.

- Che ne è dell'amore?

La passione dura se sentiamo fortemente che può accendersi, spengersi, nutrirsi di contrastanti emozioni. Ho investito molto nei miei affetti: tutto questo non finisce mai, perché è molto più importante amare che essere amati.

Poi magari si vuol bene in una maniera eccessiva, si dà troppo o troppo ci si attende... L'amore non è soltanto il sentimento che nutro per l'amato: è stare dentro le cose, non volerle solo per sé, osservare curiosi una persona che si muove, che parla, un ragazzo, un vecchio, una donna, una bambina.

- Non pensi che gli intellettuali dovrebbero levarsi con più coraggio in difesa di chi non ha voce?

Ci sono intellettuali impegnati, come molti di voi che lottano per i diritti civili. Poi ci sono quelli accomodati nel loro tornaconto, nei loro compromessi, nelle loro ideuzze da salotto: dietro parecchi libri di successo si nascondono intelligenze limitate, piene di pregiudizi, infognate nel loro piccolo mondo.

Ci sono poi artisti che non lo sventolano sui giornali, non lo gridano in tv, ma nei loro versi e racconti ti trovi davanti a persone che vivono le loro emozioni apertamente.

Penna non ha fatto politica su quotidiani, non è andato per strada con le bandiere, ma tutta l'opera sua parla di un eros che non è ghettizzabile: ama i ragazzi con una grande libertà, momenti ebbri di gioia o di lancinante abbandono. Poeti e narratori devono educare all'amore nelle loro opere, perché è lì che conta.

- I fondamentalismi basano il loro potere sull'odio verso gli altri amori, invadendo con proclami sessuofobici e xenofobi i mass media e ogni pulpito immaginabile.

I poteri e gli integralismi fanno leva sull'ignoranza, sulla mancata 'innocenza' delle persone (l'innocenza è un'altra favola bella!): fomentano fobie per scagliare gli uni contro gli altri.

Il Gesù dei vangeli non propone nessuna restrizione della libertà, è contro ogni forma di istituzione e di paramenti - via le frange!

Contesta le discriminazioni contro le donne: in un mondo carico di tabù, avvicina la Maddalena e le altre tutti i giorni, anche quando sono mestruate. Che c'entra Gesù con le chiese, che ha a che spartirvi? Il fondamentalismo è accecato dall'odio davanti a tutto quello che resiste alle sue imposizioni, alla sua "ortodossia".

L' "Amore"? È da tutt'altra parte, lontano dagli altarini dell'ipocrisia! La liberazione sessuale ha dovuto affrontare retrocessioni e lenti avanzamenti, ma le lotte dei movimenti femministi e omosessuali non potranno più essere annientate. Quella contro i rigurgiti reazionari è l'unica sfida che vale la pena raccogliere, iniziando da dentro di sé.

Penso che bisogna andare verso un mondo in cui nessuno si senta diverso nella diversità, perché è intollerabile essere chiuso in un ghetto.

Per me, fin da ragazzino, l'omosessualità non era una condizione a parte, ma una naturale propensione che riguardava la felicità, la pienezza del mio vivere in mezzo agli altri, che sono tutti diversi. In "Simmetrie" non parlo più di amici e amanti, ambienti e personaggi, ma di una condizione più ampia: l"io" è diventato "tu", meglio ancora un "sé".

Siamo tutti diversi e uguali: se la differenza autentica sta nella nostra individualità profonda, la comunanza è nell'essere destinati alla morte, ma anche ad una piena immersione nella vita.

Siamo diversi nell'aspetto, nel gruppo sanguigno, nelle nostre doti, ma non siamo diversi secondo categorie stagne, immodificabili. Donne e uomini quando amano sono uguali, indipendentemente dall'oggetto del loro amore.

Troppi però si sentono condannati, si negano affetto, visibilità e riconoscimento per darsi ad un consumismo sessuale semi-clandestino, che a volte si muta in ossessione: una fuga dalla realtà, dietro l'illusione di un'eterna giovinezza.

- Roma ti ha adottato da ormai quarant'anni...

... e la percorro quotidianamente in autobus e metropolitana, eccetto quando ci sono amici come te che insistono per riaccompagnarmi in macchina!

Quanti mutamenti nella Città Eterna... Io sono passato a vivere dal centro, presso la Fontana di Trevi, ad un luogo dell'EUR tutto nuovo e un po' anonimo.

Per me Roma resta in gran parte ignota, come deve essere il corpo di una persona che amiamo, che cela sempre qualche zona d'ombra.

E sono grato anche a Napoli, dove ho vissuto vent'anni, perché lì ho appreso il dono dell'ironia, che difettava tra i miei parenti e la gente del paesino campano dove son nato.

A Roma mi sono liberato, sono uscito dall'isolamento per vivere in mezzo agli altri, e di questi altri ancora mi abbevero.

Roma per me è un mondo infinito: non ho bisogno di trasferirmi a Pechino o a New York per vedere tanta gente.

Le facce, le chiacchiere, gli sguardi, l'incespicare di uno, la fretta dell'altro: vorrei ancor meglio esprimere tutto questo pullulare di vite in una città carica di storia, dove ogni giorno mi imbatto in qualcosa che non conoscevo.

Ma non è Roma che mi ha adottato, sono io che ho adottato Roma nel mio cuore, senza potermene più allontanare.

Rimango, e penso ai nuovi incontri che mi porterà il domani. Finché potrò, sapendo che ogni giorno ha una sua fine.

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