Tragicommedia sentimentale di aspirazioni altmaniane, che si riduce a un affresco sbiadito e molto discontinuo, anche nella sceneggiatura (divaricata tra il patetismo insopportabilmente retorico, da telenovela, del gay morente di AIDS e il dialogo pungente, ironico, essenziale del duo Connery-Rowlands, la cosa più riuscita del film). L'aforisticità del racconto, che ricalca in modo palese il modello di
America Oggi, si riduce a superficialità e non trova la leggerezza impareggiabile del tocco di Altman, anzi si perde in pesantezze a tratti grevi, mentre l'umanità ritratta diventa spesso involontariamente grottesca, vuoi per la superficialità dell'introspezione psicologica, vuoi per il concentrato di sfiga rappresentato (si parte con Connery che scopre di avere un tumore al cervello, si continua con Quaid che confessa di aver investito in auto moglie e figli mentre era ubriaco, si va avanti con tradimenti, preti erotomani, adolescenti sieropositivi;donne inutilmente represse). Un film che finge di essere più di quello che è, e finge onestà, correttezza e realismo dove invece è artificioso, banale, farcito di luoghi comuni, insicuro di sé al punto da ricorrere ai peggiori cliché sentimentali fino a cadere nel ridicolo involontario (specialmente nella solita drag queen sboccata e nel funerale del gay, cui presenziano solo due donne, mentre a quattro metri di distanza c'è un altro funerale affollatissimo: senza contare che l'omosessuale è l'unico a morire, come nei peggiori film dei tempi del
Codice Hays, mentre per tutti gli altri sorgono rosee albe di speranza, felicità, ritrovata serenità, rinato amore). Le interpretazioni sono altalenanti come tutto il resto, ma se proprio si vuole vedere il film si cerchi la versione originale, perché il doppiaggio è mediocre.