Troppi paradisi

13 aprile 2007, Aut, n.85, dicembre 2006, p. 18.

Un professore perso nei misteri del corpo culturistico, un escort smarrito nel bosco dei fantasmi omo/bisessuali.

Dopo "Scuola di nudo" e "Un dolore normale", Walter Siti completa con "Troppi paradisi" la sua trilogia dell'eros e della solitudine, e si conferma tra i grandi della narrativa italiana contemporanea.

"É una storia nuda, estrema, fatta di niente e che rasenta il niente: il desiderio senza aggettivi (senza nemmeno sesso), portato alla sua realizzazione massima o al suo fallimento disperato".

Il narratore Walter - "macchina celibe" - sprofonda come in una voragine nell'epifania di Marcello, icona stessa "dell'irreale contemporaneo fondato sull'utopia del sempre-di più": un'immagine che chiede di essere attraversata, un angelo borgataro scacciato dai giardini dell'Eden, consumato lentamente da coca e bombe anabolizzanti, abile (come tutti) nel mimare l'amore. Per Walter è proprio lui l'escort ideale (guida e battone) nel labirinto profondo del corpo culturistico e della fauna delle palestre, ed è sempre lui il suo segreto laboratorio, "il pifferaio magico": la musica della sua carne sottoproletaria non potrà che irretirlo, come un tempo furono stregati i bambini di Hamelin.

Il libro rivela l'immaginario deflagrato di un ossesso del sesso, assemblando con uno stile di limpida figuratività un intricato flusso di coscienza: nelle schegge di un diario politicamente scorretto, sogni e fissazioni psico-anatomiche finiscono per fondersi in un'estasi da trip acido. Siti ci fa percorrere con impietoso disincanto la tragedia di un uomo 'ridicolo', ci accompagna nella dolorosa via crucis di una proposta indecente: sulle tracce di un universo parallello all'immutabile mediocrità del quotidiano, agli sbattimenti delle carriere professionali, ai perenni patteggiamenti piccoloborghesi dell'esistenza.

Ma in questo mondo virtuale il professore seguita ad essere braccato dalla paura dell'abbandono, perseguitato senza requie da acciacchi veri o supposti (cfr. i tormentoni sulle sue precarie erezioni o sulle deludenti 'dotazioni' del bel tenebroso di periferia): fino a disintegrarsi nelle alchimie di una favola che cannibalizza entrambi i protagonisti e li riduce a "gusci vuoti".

Pirotecnici gli inserti in cui, con disarmante livore, il cinismo del Potere e il teatrino effimero della televisione son cucinati in salsa hot chili: aforismi al vetriolo o strampalate divagazioni da 'uomo senza qualità', sempre in bilico tra sapienzialità talmudica, patafisici sberleffi alla "Ubu roi" e gossip di inusitata cattiveria. Uno humour nero da cui tracimano ferocia e sconfinata tenerezza, immedicabile orrore del decadimento fisico e un'overdose d'affetto paterno: mentre si sancisce l'impossibità di approdare ad una piena decifrazione dei sensi (sesso / significati). Con le sue torride allucinazioni "umane, troppo umane", a tratti grottesche o iperrealistiche, il romanzo suggerisce magistralmente la difficoltà di dar corpo (unico) al "carnaio dei desideri privati" dell'Occidente.

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