recensione diMauro Giori
Leap Years
L'idea era piuttosto interessante, in potenza: seguire un gruppo di personaggi in tre momenti differenti, uno collocato nel passato, uno nel presente e uno nel futuro. In ogni puntata si passa da un'epoca all'altra e i personaggi cambiano, le loro professioni subiscono rivoluzioni, le coppie si mischiano. L'espediente è interessante forse soprattutto proprio nel caso del personaggio omosessuale, Gregory: nel passato non sa ancora di essere tale e fa coppia con una celebre cantante, Athena; nel presente i due rompono perché nel frattempo Gregory ha cominciato a frequentare i maschietti; nel futuro Gregory è fidanzato con un poliziotto, Patrick, e i due chiedono ad Athena di dare loro un figlio.
Nell'insieme il risultato però è piuttosto deludente. Per risultare coinvolgente occorreva osare di più sul piano narrativo: qualcosa sul tipo di Arrested Development avrebbe dato la necessaria energia al racconto, che invece si limita a giustapporre con piattezza e monotonia le tre epoche una di seguito all'altra, in ogni puntata.
Leap Years, prodotta dagli autori di Queer as Folk(ma non aspettatevi scene di sesso bollente), finisce col ridursi a essere la brutta copia di thirtysomething (però scritta e recitata peggio, e parecchio goffa nella parte ambientata nel futuro), cioè un concentrato di depressioni che colgono "nel mezzo del cammin di lor vita" questi trentenni in carriera piuttosto insoddisfatti, le cui vite poco interessanti sono troppo banali e deja vu perché il pubblico possa appassionarsi (esempio: Athena, da buona pop star, è drogata marcia e si rovina così la carriera, e anche la possibilità di dare un figlio a Gregory, che dal canto suo accetta di andarci a letto ancora una volta per dirle addio, proprio mentre il suo fidanzato poliziotto muore in servizio: siamo solo a metà serie, il resto si trascina tra depressioni e sensi di colpa). Non è difficile capire perché Leap Years abbia chiuso dopo una sola stagione.