De Profundis. Oscar in love.

8 gennaio 2013, Il mestiere di leggere

In carcere dopo il suo processo, pur deluso e disgustato dall'amico e distrutto dal dolore per la morte della madre, Wilde proprio in quel periodo comincia a risalire la china.
Lo aiuta in ciò moltissimo il nuovo direttore del carcere, il giovane maggiore Nelson, che lo dispensa quasi interamente dal lavoro manuale, gli consente di procurarsi quasi tutti i libri che vuole e gli procura carta e penna.
È grazie a queste concessioni che il detenuto trova ragione di vita nella scrittura del De profundis, la sua lettera-requisitoria indirizzata all'amico e al mondo.

È una lettera, ma è anche un racconto, un'opera d'arte in piena regola, quella che fa dire ad alcuni critici che Wilde è il più grande prosatore irlandese dopo Swift.

George Bernard Shaw definisce questo documento, lungo oltre un centinaio di pagine

"un libro straordinario, assolutamente esilarante e divertente come era Wilde stesso, e disonorevole e vergognoso per i suoi stupidi tormentatori".

Wilde ripercorre tutta la storia del suo rapporto con "Bosie" (Alfred Douglas), descrivendo l'amico come l'avvelenatore della sua vita, che era e avrebbe dovuto restare dedicata all'Arte.

Tutta la prima parte della lettera, il primo movimento, potremmo dire, visto che la composizione ha quasi la struttura di un'opera musicale, è dedicata a descrivere i comportamenti spregevoli di Bosie, con tanto di liti e riappacificazioni descritte come in una commedia. "C'è dentro afflizione, fastidio, disagio - dirà G. B. Shaw - ma non una vera tragedia; è tutto commedia".
Elencati i motivi del suo disprezzo, Wilde è troppo intelligente per non capire che deve spiegare non solo a Bosie, che è il primo destinatario della lettera, ma anche al "suo" pubblico, che ne è il secondo destinatario, i motivi che lo hanno indotto, nonostante l'evidenza dei pericoli che correva e la disapprovazione per i comportamenti inqualificabili del compagno, a lasciarsi travolgere.

Da una parte, lo ammette c'è stata debolezza .

"Lo dico francamente, barcollavo come una bestia condotta al macello. Avevo commesso un madornale errore psicologico: avevo sempre creduto che cederti nelle piccole cose non avesse importanza e che al momento opportuno sarei riuscito a far prevalere la mia forza di volontà. Non fu così. Quando giunse il momento, la forza di volontà mi mancò completamente".

Ma non è stato solo questione di debolezza, aggiunge Wilde subito dopo, ansioso di dimostrare che c'è stato anche una motivazione nobile nel suo lasciarsi trascinare alla rovina.

"Qualunque fosse la tua condotta verso di me, sentii sempre che in fondo mi amavi davvero".

Il fascino del poeta, la sua posizione nel mondo dell'arte e nel bel mondo, il lusso di cui si circonda hanno sicuramente innescato l'attrazione del giovane nei confronti dell'amico più maturo. Ma non c'è solo l'amore per le cose esteriori in questo rapporto, Wilde lo sente.

"Vi era qualcosa di più, qualcosa che aveva per te un'attrazione strana: mi amavi molto più di quanto tu amassi chiunque altro".

Ed ecco il terzo movimento: nonostante gli riconosca capacità d'amore, Wilde è costretto ad ammettere che il vero motivo conduttore della vita di Bosie è l'odio implacabile per il padre, al quale senza esitare ha sacrificato la vita dell'amico.

"In te l'odio è sempre stato più forte dell'amore; nella stessa anima non c'è spazio per entrambe le passioni".

Ecco quindi la differenza tra Wilde e Bosie: il primo ha fatto prevalere la legge dell'amore, il secondo quella dell'odio.

"Gli dei sono strani. Non è solo dei nostri vizi che fanno strumenti con cui castigarci. Non fosse stato per il mio amore per te e per i tuoi, non sarei ora a piangere in questo terribile luogo".

Ma la più terribile delle colpe di Bosie non è l'aver provocato, con la cecità e l'insensatezza del proprio odio, la rovina dell'amico, ma nell'insensibiltà che ha dimostrato durante la carcerazione di Wilde.
Non si è mai fatto vivo.

"Perché non mi hai scritto? Aspettavo una lettera. Ero certo che alla fine avresti capito che se l'antico affetto, l'amore tanto proclamato, i mille atti di cortesia mal ricevuta di cui ti avevo inondato non erano niente per te, il solo dovere ti avrebbe dovuto far scrivere. [...] Il tuo silenzio è stato orribile. Non di settimane o di mesi, ma di anni. È un silenzio che non ha scuse".

Con questa ultima pesantissima accusa si conclude la requisitoria di Wilde.

Che ha un finale (o un quinto movimento se vogliamo restare alla metafora musicale) veramente sorprendente.

Un po' come nei famosi paradossi wildiani, che affidano al rovesciamento inatteso del luogo comune non solo la loro forza di persuasione, ma anche la loro capacità di creare divertimento.

"E la fine di tutto questo è che devo perdonarti. Devo farlo: per il mio bene stesso devo perdonarti. Devo toglierti il fardello e caricarlo sulle mie spalle. Sono prontissimo a farlo".

L'artista, per essere veramente e compiutamente tale, secondo Wilde, deve provare l'esperienza del dolore, perché, è una esperienza che diversamente da quella del piacere è portatrice di verità, "non porta maschera".

"Ora capisco che il Dolore, essendo la suprema emozione di cui l'uomo è capace, è insieme il modello e il banco di prova di tutta la grande Arte".

È il tema del Sacrificio Necessario.

Il fardello di cui parla Wilde è di fatto molto simile alla croce di Cristo:

"Vedo una connessione assai più intima e immediata tra la vera vita di Cristo e la vera vita dell'artista".

L'accostamento genera lo spunto per alcune delle considerazioni più brillanti e originali della lettera.

Cristo è descritto come un poeta ( "Il posto di Cristo è infatti tra i poeti"), come "il vero precursore del movimento romantico nella vita".

"Cristo non fu soltanto il supremo individualista, fu anche il primo individualista della storia".

"Cristo non diceva agli uomini: Vivete per gli altri, insegnava che non vi era alcuna differenza tra la vita degli altri e la propria. In tal modo egli dava all'uomo una personalità estesa, da Titano".

Insieme al tema del Sacrificio affiora quello del Pentimento.

"Naturalmente il peccatore deve pentirsi. Perché? Perché altrimenti non sarebbe capace di comprendere ciò che ha fatto".

Anche il Pentimento, come il Sacrificio, è quindi l'inizio di una presa di coscienza di sé, è un momento di verità (e quindi di bellezza), l'inizio di una vita nuova, "il mezzo attraverso il quale ci è dato trasformare il nostro passato".

Wilde non ha dubbi e lo dice con nettezza: Peccato e Sofferenza per Cristo erano cose belle e sante in se stesse, autentiche "forme di perfezione".

"Sono certo che, se glielo avessero chiesto, Cristo avrebbe risposto che nel momento in cui il Figliol Prodigo cadde in ginocchio e pianse trasformò l'aver sperperato le sue sostanze con donne di malaffare, fatto il guardiano dei porci ed essersi nutrito delle loro stesse ghiande, nei momenti più belli e più sacri della sua vita. A molta gente riesce difficile comprendere questo. Forse si deve finire in carcere per comprenderlo. In questo caso, forse, vale la pena di finire in carcere".

La lettera si avvia alla sua conclusione.

Il nostro sodalizio, dice il poeta, ha ancora molto da darci.

"... Per incompleto ed imperfetto che io sia, tu, da me, hai ancora molto da imparare. Venisti da me per imparare il Piacere della Vita e il Piacere dell'Arte. Forse sono stato scelto per insegnarti qualcosa di più splendido: il significato del Dolore, e la sua bellezza".

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