recensione diVincenzo Patanè
Il vizietto
Il film è tratto da una fortunatissima pièce teatrale di Jean Poiret, il cui titolo La cage aux folles (ossia La gabbia di matti) rimanda al nome del locale notturno di Albin e Renato. La trasposizione sullo schermo non è stata meno riuscita ed ha ottenuto un successo straordinario di pubblico, tanto da essere il primo di una trilogia (ma Il vizietto II e Il vizietto III non ne sono certo all'altezza, in particolare quest'ultimo, diretto peraltro da Georges Lautner).
Il film conserva uno stampo teatrale ed è una pochade perfettamente oliata - costruita con gli ingredienti più tipici, come equivoci o travestimenti - che strappa risate di gusto.
In alcuni momenti è decisamente esilarante, soprattutto quando la comparsa del tronfio Charrier, messo duramente a ludibrio dalla situazione, crea inevitabili scintille con Albin e con Jacob e con i molti oggetti compromettenti della casa (come i piatti con "i greci che si inchiappettano"). O ancora quando Albin tenta goffamente di assumere comportamenti più virili.
Molto merito, questo è sicuro, va ai due magnifici protagonisti, a volte decisamente irresistibili: Tognazzi (che già aveva recitato travestito in Splendori e miserie di Madame Royale di Vittorio Caprioli) sa essere impareggiabile, ma ancora più strepitoso è Michel Serrault (ottimamente doppiato da Oreste Lionello) il quale, perfettamente a suo agio nel personaggio, sa essere elegante quanto pieno di ricca umanità.
La storia non risparmia nessun luogo comune sull'omosessualità, soprattutto nel personaggio di Albin, un'attempata checca dalle movenze effeminate. Eppure anche il pubblico gay ha mostrato una giusta simpatia verso quest'opera sia perché, a modo suo, mostra come i rapporti che investono Albin e Renato siano affini a quella di una coppia etero, con le stesse crisi e gli stessi litigi, e sia perché il risultato è decisamente accattivante e, soprattutto, mai volgare.
Tutte scelte dipendenti, evidentemente, dal fatto che il film è stato finalizzato ad un grosso pubblico e quindi i personaggi omosessuali dovevano evitare ogni problematica morbosità ed essere ben graditi, a costo di essere ridotti a macchiette, anche se garbate ed ilari. Rimane il fatto che esso, pur con i suoi difetti, ha contribuito non poco a rendere familiare la figura dei gay per il grosso pubblico, in un momento storico in cui esisteva un'apertura sociale in tal senso.