recensione diVincenzo Patanè
Il servo
Il film, ispirato ad un romanzo omonimo di Robin Maugham, si inserisce nel nutrito filone dei rapporti, dalle forti connotazioni sadomasochiste, tra padrone e servo.
Tony è un rampollo di una nobile famiglia - rimasuglio di un sistema sociale che si sta sfaldando - privo di reali aspirazioni e preda inerte degli agi della sua classe sociale. Il suo bisogno di avere un servo rappresenta per lui la ricerca di quella sicurezza di ritualità che ha caratterizzato la sua infanzia; ma la sua smidollata vacuità, unita al tronfio arrivismo della fidanzata medio-borghese Susan, dànno spazio alla ribellione del servo, che non trova in lui il tipo di padrone che ha sempre servito e che rispetta. Il fatto che il padrone non rispetti le premesse del proprio ruolo, fortifica così in Barrett l'idea di conquistare potere.
L'omosessualità - mai esplicita, ma evidente nelle scene finali - è presente con velate allusioni e in tanti particolari, sottili ma significativi. Il dominio sessuale di Barrett sul padrone gioca come suggello finale dell'avvenuto rovesciamento dei ruoli e come tale è solo un tassello, sia pure importante, di una dinamica più grande. Così come i rapporti eterosessuali che si instaurano tra i quattro personaggi - che si incrociano in ogni combinazione - anche l'omosessualità non sfugge però alla sensazione di laidezza che informa la storia.
Ttutto il film è infatti percorso da un clima di tensione psicologica, acuita dalla musica lancinante, che crea una palpabile frustrazione nello spettatore, che non sa in chi identificarsi e per chi parteggiare, soprattutto alla fine, quando il gioco diventa veramente perfido.
Losey osserva con implacabile freddezza, ma anche con un minimo di morboso decadentismo, i meccanismi che portano il protagonista alla degradazione più totale. Ma, più che tentare di spiegare qualcosa, preferisce perdersi in un discorso visivo di estremo fascino, in cui gli oggetti assumono il valore di ambigui simboli, come i numerosi specchi; così la mobilissima macchina da presa fruga ogni angolo della casa, che diventa la claustrofobica gabbia, dove meglio risaltano i secchi dialoghi dello sceneggiatore Harold Pinter e la violenza di ciò che accade.