recensione diVincenzo Patanè
L'oro nero di Pasolini
Petrolio è sicuramente l'avvenimento letterario dell'anno, annunciato da un efficace battage pubblicitario, ma anche atteso da quanti, a conoscenza della sua esistenza, lo aspettavano da ben diciassette anni, senza peraltro essere certi di una pubblicazione.
Come è tipico ogni qual volta escano dei libri postumi e ancor più quando il personaggio tirato in ballo è Pasolini, l'evento ha dato luogo ad accese querelle tra gli intellettuali nostrani, divisi sulla liceità di una pubblicazione evidentemente non voluta dall'autore e che, nella sua fatale incompiutezza, ne tradisce i fini, gli intendimenti e il senso.
In realtà, la ponderata scelta di Graziella Chiarcossi, cugina ed erede di Pasolini, appare nello stesso tempo coraggiosa e doverosa e ci regala un ulteriore, indispensabile tassello per la conoscenza dell'artista. Una simile decisione trova del resto conforto negli innumerevoli illustri precedenti nella storia della letteratura - si pensi a Virgilio, Kafka, Lucrezio o a Musil - e oltretutto non contraddice nessuna specifica volontà di distruzione del manoscritto da parte dell'autore. D'altra parte quel che c'è rimasto è ben più di qualche foglio sparso ed è cronologicamente ordinato; l'aver affidato infine il manoscritto ad un filologo di provata serietà come Aurelio Roncaglia ha dato senza dubbio un attendibile fondamento all'operazione, fornita dunque di rigorosi principi di base, primo fra i quali l'aver voluto pubblicare tutto senza modificare una sola virgola.
Il clamore creatosi spiega le ben 20.000 copie tirate dall'Einaudi, un numero sicuramente alto per un libro così complicato. Perché, chiariamolo subito, Petrolio è un libro difficile, di non scorrevole accessibilità e perciò non per tutti. Il che non toglie che coloro che hanno amato Pasolini o comunque si sono interessati al suo pensiero debbano assolutamente leggere quest'ultima sua opera, quella che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere la summa della sua Weltanschauung.
Inutile nascondere che buona parte delle difficoltà del libro la si deve alla sua incompiutezza: le seicento pagine scarse sono meno di un terzo delle duemila previste e, pur ordinate in appunti susseguenti, non offrono sempre delle nitide concatenazioni logiche. Ma - ben oltre questo senso palpabile di sconnesso e di irrisolto che, pur giustificato, toglie di fatto credibilità ad ogni giudizio che voglia essere esaustivo - c'è da dire che ci si trova di fronte ad un'opera che sfugge volutamente ad ogni usuale etichetta: Petrolio (che forse si sarebbe chiamato Vas, da un'espressione dantesca, e prevedeva la pubblicazione delle celebri foto di nudo scattategli a Chia da Pedriali) è un ibrido tra il romanzo ed il saggio, sempre alla ricerca di una sua forma, attraverso continue riflessioni metatestuali che investono la complicità del lettore.
Una trama di base comunque esiste, per quanto complicata, ma essa viene in continuazione spezzettata, disattesa, confusa, negata, sia a causa del mancato labor limae dell'autore sia perché lunghe digressioni alla Sterne si intrecciano col testo principale per proporsi poi come la parte più godibile. Tanto che per il lettore, in conclusione, è meglio abbandonarsi ai lunghi periodi narrativi, alcuni dei quali già quasi conclusi e fluidi, prescindendo dal farraginoso e comunque opaco disegno narrativo.
Il protagonista, Carlo Valletti, è un funzionario ancor giovane che ha raggiunto solidi vertici di potere nell'ENI a cavallo degli anni Settanta. Carlo è una persona valida, fondamentalmente democratica e di sinistra, ad onta delle spinte destrorse che esistono all'interno della sua ditta da parte di persone senza scrupoli che non esitano a maniere forti per evitare il pericolo del comunismo. Un giorno Carlo si ritrova scisso in due, Carlo Polis e Carlo Tetis: il primo, dai buoni sentimenti, è la persona stimata, pubblicamente irreprensibile, efficiente nel lavoro come in società, mentre il secondo ha come unico scopo della sua vita il sesso, vissuto avidamente e senza freni in un esibizionismo consumato ad ogni occasione con ragazze e facendo l'amore con ogni donna a tiro, ivi comprese la madre, le sorelle e persino la nonna ("Era quello il momento più alto e bello della sua vita dedicata esclusivamente al sesso, nella più completa separazione da ogni altra forma di interesse umano"). I due Carlo sono due facce di una stessa unità in cui ciascuno ha bisogno dell'altro, un dottor Jekyll e Mister Hyde filtrati attraverso le maschere di Pirandello, in un equilibrio che per rimanere tale ha bisogno di vivere schizofrenicamente la propria vita. Questa doppia identità (in cui Pasolini - ma un po' tutti noi - si riconosceva) si complica poi ancor più quando Carlo Tetis, in seguito imitato dall'altra sua metà, diventa una donna, sulla falsariga dell'Orlando woolfiano, tuffandosi in una sfrenata attività sessuale, in cui la mascolinità e la femminilità si confondono in una singolare unità che è la somma, ma nel contempo la negazione, dei due sessi.
Le digressioni che si intersecano con la storia principale sono quanti mai varie: sul mondo politico, su quello economico e finanziario, sui fascisti, sulla mafia e la CIA, su un viaggio in Oriente che Carlo intraprende alla ricerca del petrolio e che ricalca quello degli Argonauti, su racconti strani e bizzarri, tra cui spicca quello che, nelle intenzioni di Pasolini, doveva fungere da canovaccio per il suo prossimo film, Ta kai ta, con protagonista Eduardo de Filippo. In esse pullulano molti personaggi dell'epoca (e purtroppo ancor attuali) alcuni nominati direttamente, altri con pseudonimi ma comunque facilmente evincibili: Andreotti, Monti, Cefis, Restivo.
I fili portanti di Petrolio, dal forte stampo ideologico, sono comunque la politica, le riflessioni sulla società ed il sesso. E' stato ovviamente quest'ultimo a far più notizia sui giornali e d'altra parte bisogna dire che delle descrizioni così analitiche ed efficaci sono decisamente inedite nella nostra letteratura. Tutto il libro trasuda di sesso, di eccitanti ragazzi, di scene fortemente erotiche. La più bella ed insistita (quasi trenta pagine) è quella in cui Carlo Tetis per degradarsi totalmente fa l'amore con ben venti avvenenti ragazzi proletari in un pratone della Casilina: una scena - ma non non è del tutto chiaro se sia un sogno, un desiderio o realtà e se sia già avvenuta o no la trasformazione in donna - di limpida e cruda poeticità.
Il libro si dimostra comunque in ogni suo aspetto originale e stimolante, involuto e chiaro nello stesso tempo, vaticinatore eppure datato. A livello politico Pasolini dimostra quella magnifica coscienza civile che esprimeva negli Scritti corsari, identificando coraggiosamente nel Palazzo i veri colpevoli del malgoverno italiano e smascherando delle trame col tempo rivelatesi profetiche, come per le tangenti e la costruzione di colossi finanziari con soldi statali; eppure il suo discorso appare ora, per l'aspra lotta di classe vagheggiata e per la netta contrapposizione fascismo/ comunismo, come schematico e sorpassato dai tempi. Le sue considerazioni sociologiche appaiono lungimiranti nel predire i nefasti risultati di una cultura di massa imposta alle classi più basse, che accettano impotenti la loro deculturizzazione, diventando piatte e senza identità ("Non c'era giovane del popolo che ormai non avesse impresso nel viso un ghigno di autosufficienza, che non guardasse più negli occhi nessuno, o non camminasse con gli occhi bassi, come un'educanda, a manifestare dignità, riservatezza, e moralità. Non c'era più curiosità per niente. Tutto era già obbligatoriamente noto. C'era solo l'ansia nervosa - che rendeva brutti e pallidi - di consumare la propria fetta di torta."); ma la sua esaltazione di un mondo proletario come l'unico ancora intatto e positivo, assoluto depositario di dignità e genuinità che contrastano la volgarità e l'indecenza borghese, appare esasperata e frutto di una visione romanticheggiante ("In quel grembo c'era la purezza e l'inviolabilità che i calzoni dei ragazzi poveri suggellano, come se il loro sesso fosse più vicino alla grazia creatrice, o comunque più uguale e prossimo al modello inaugurale"). Così come appaiono discutibili le sue annotazioni sul perbenismo borghese e quelle contro l'interclassismo e la permissività sessuale.
Scritto a cavallo tra la trilogia della vita e la sua abiura, Petrolio conserva ancora una gaia accettazione del sesso ma, tra le righe, in embrione vi è già il suo acre rifiuto. E' l'anticamera del gelido inferno di Salò, dove i corruttori e le vittime sono sullo stesso piano, ugualmente degradate da un sistema iniquo, che Pasolini ha sempre contrastato con virulenza e sincerità, ma forse non con estrema coerenza.
In tutto ciò, Petrolio, non fatevi ingannare, non è il suo testamento spirituale, ma solo un'eccellente testimonianza di una mente vulcanica e geniale che non amava concedersi soste e che si sentiva sempre più a disagio in un mondo sempre più lontano da quello da lui vagheggiato.