Mi fa una certa impressione pensare che Arthur Dreyfus, lo scrittore francese di cui questo è il romanzo d'esordio, sia nato l'anno in cui io cominciavo l'ultimo anno di liceo: è da questi piccoli particolari, e non da grandi fatti, che mi accorgo di non essere più un ragazzino. Non si tratta, in ogni caso, d'un esordio timido: il romanzo ha una struttura complessa, dato che fa procedere in parallelo la storia d'un adolescente francese gay che, per mezzo della posta elettronica, vive un rapporto a distanza con un coetaneo canadese, e quella del nonno ebreo e partigiano che finisce internato in un Lager tedesco e del suo rapporto d'amicizia col soldato americano che l'ha salvato e soccorso alla fine della guerra; ma è vie più complesso per i giuochi di maschere, i distacchi e le zone d'ombra che a sorpresa giungono a velare parti della trama. Quando Ernest, il ragazzo francese, ospite per qualche tempo della famiglia dell'amico americano che il nonno ha ritrovato dopo cinquantacinque anni, vorrebbe andare a trovare il suo amato Chris, trasferitosi col padre medico dal Canada agli Stati Uniti, viene a sapere dal ragazzo che un cancro al ginocchio impedirà loro d'incontrarsi; e dopo messaggi sempre più brevi e strazianti, Randall, il padre, fa sapere ad Ernest che Chris è morto pochi giorni prima di compiere i sedici anni. Negli anni successivi sarà proprio Randall a tenere il rapporto epistolare con Ernest: dapprima in lutto per la morte del figlio, pian piano i suoi toni diventano sempre più caldi e ossessivi, fino a sfociare in un aperto desiderio del giovane francese; il quale dal canto suo, cresciuto e attento alla prosa di Randall, viceversa via via più caotica e delirante, viene ad intuire che Chris, di cui non ha mai visto immagini, non è mai esistito, e l'intero rapporto epistolare è frutto del desiderio malato di Randall. Storie parallele, dunque, ma anche speculari. Non leggiamo mai ciò che scrive Ernest a Chris: ne abbiamo conoscenza indiretta, grazie alle risposte. Abbiamo da un lato un amico americano di oggi che con ogni probabilità è un fantasma, per giunta creato da un folle, presente in continuazione nella scrittura ma fisicamente lontano; dall'altro abbiamo un amico americano autentico, capace di gesti delicati e intensi eppure, per le circostanze della vita e a causa d'una comunicazione che, prima dell'invenzione della rete, procedeva per vie più difficili e tortuose, fisicamente lontano per decennî benché sempre vivo nel ricordo. La scrittura di Ernest, infine, manca nel mondo attuale ma rievoca quello che ha conosciuto solo attraverso la memoria: la storia del nonno è raccontata da lui, ma con un "tu" narrativo che la fa sentire come raccontata dal nonno stesso. Eppure, anche qui: quanto di quel mondo e di quell'esperienza ci è restituibile a parole? Il romanzo contiene riferimenti letterarî: di sicuro, per esempio, a Primo Levi (anche il nonno di Ernest è chimico e sopravvive al Lager), probabilmente anche a Goethe (nel concetto di uomini che, come sostanze chimiche, sembrano spinti da una forza superiore ad interagire può trovarsi un'eco delle affinità elettive tra gli elementi che formano il titolo del famoso romanzo dello scrittore tedesco); per una volta, il titolo italiano, che compendia il concetto che sta alla base della narrazione, suona più indovinato di quello francese, La synthèse du camphre, che tradotto nella nostra lingua inoltre avrebbe rievocato assai poco sublimi reminiscenze di armadi, antitarme ed olî curativi. Lo stile di Dreyfus è d'una ricchezza barocca di colori, luci e fragranze, una lingua sinestesica in cui soprattutto le sensazioni olfattive dilagano nelle visioni e nell'udito; eppure non è una scrittura concepita solo per meravigliare: delicatamente marezzata, ricca di vellutate pieghe, carica d'effluvî che vengono da chi sa dove e passano come un vento notturno, a tratti notturna e umbratile nel gusto per il non detto, e nel contempo giovanilmente ardita e sontuosa, del tutto estranea al macilento fraseggiare stanco di troppi cultori d'un realismo sciatto senza coraggio e senza bellezza.