Brian Whitaker è un giornalista inglese, specialista in questioni relative ai paesi arabi: in questo saggio si occupa appunto di omosessualità maschile e femminile nel Vicino Oriente e in Nordafrica (compreso l’Iran, che pure non è un paese arabo), prendendo in esame le tendenze politiche, religiose e di costume che tuttora rendono estremamente difficile in quelle parti del mondo un’autentica libertà sessuale, anche se ovviamente, come avveniva negli stati europei perfino quando la “sodomia” era punita con la morte, accanto ad una minoranza di casi di persecuzioni a volte tremende vi sono moltissimi casi di amori omosessuali che riescono a trovare una sia pur nascosta e precaria espressione. Siccome non sono un esperto di mondo arabo e d’Islam, lascio a chi ne sa più di me giudicare quanto fedelmente l’autore ritragga il fenomeno e quanto corretti siano i suoi riferimenti culturali. Su d’una cosa invece mi sento senz’altro d’accordo con lui, ossia nella critica della legislazione antigay vigente in tanti stati dell’area, sia essa fondata sulla shari’a o su principî d’altro tipo: fatalmente, un ordinamento repressivo della “sessualità scorretta” si rivela inefficace, dal momento che chiunque la pratichi in modo consensuale ha tutto l’interesse a tenere riservate le sue attività: quella ch’è scoperta e punita costituisce perciò sempre un’esigua minoranza di casi, con l’aggravante che in situazioni di corruzione diffusa ed arbitrio poliziesco sistematizzato la repressione tende a manifestarsi in forme capricciose, a ondate, spesso per compiacere il pregiudizio popolare o per tacitare le lagne dei movimenti religiosi più integralistici. Per giunta, la criminalizzazione dell’omosessualità produce ricatti e delitti: caratteristica la vicenda di due sauditi condannati a morte dopo che avevano ammazzato un immigrato pachistano il quale aveva scoperto la loro relazione. Negli stati europei questa fase di criminalizzazione foriera solo di problemi per le vittime e per la società ce la siamo lasciata da un pezzo alle spalle; c’è da sperare che nei paesi arabi avvenga presto lo stesso, anche se l’aria che tira non sembra delle migliori. Una nota di biasimo al traduttore, capace incredibilmente di parlare di “scolari” (senza dubbio traducendo l’inglese scholars) in un contesto dove non vi sono dubbî che il passo si riferisca a studiosi della legge coranica; altrove ricalca pedante l’anglosassone Roman catholic ove noi diremmo semplicemente cattolico (e a buon diritto, perché esistono i cattolici orientali, che sono cattolici a tutti gli effetti, ma non sono "romani"); e riesce anche a far ridere quando parla di Alì come d’un nome di battesimo: che i musulmani pratichino il battesimo ci giunge affatto nuovo.
Altre recensioni per Amore che non si può dire, L'