O carne, carne, come ti sei accecata

27 agosto 2013

Cosa sarebbe successo se papà Montecchi fosse giunto sul luogo del fattaccio prima che anche Giulietta si fosse suicidata e costei fosse stata accusata di omicidio, essendo stata nascosta la lettera di Romeo e tacendo frate Lorenzo? È da una fantasia intertestuale di questo tipo che sembra scaturire Per sempre, in buona sostanza una libera trasposizione negli Stati Uniti degli anni Trenta e in chiave omosessuale del Romeo e Giulietta. Per la verità Jourdan non sembra avere una particolare familiarità con questa ambientazione, tratteggiata in modo anodino, ma tutto sommato lo sfondo di seconda mano può ricordare l’Italia di Shakespeare e rendere più emblematica la vicenda.

Il novello Romeo si chiama John, e Giulietta Doug: sono amici inseparabili da quando avevano tredici anni e sono rimasti entrambi orfani della madre nello stesso periodo. Il romanzo prende le mosse da un apparente omicidio e dalla conseguente impiccagione del presunto assassino. Ma dietro c’è un’altra verità di cui è custode l’anziana Ethel, decisasi a raccontarla al giovane Tom perché i torti siano infine raddrizzati, a sessant’anni dal loro accadimento. La storia di John e Doug viene così ricostruita dall’adolescenza fino all’università, per mezzo di pagine ascritte al narratore e di altre narrate in prima persona dal punto di vista dei due protagonisti, nonché di Ethel e di Tom.

L’intrigo è appassionante e ha la fattura di un buon giallo, ma non esaurisce le ambizioni di Jourdan, il quale vuole anche descrivere nelle sue minuzie l’ingorgo emotivo prodotto dai condizionamenti sociali che hanno impedito all’amore dei due ragazzi di trovare coronamento, anzi semplicemente di dirsi, nonostante la piena reciprocità. Per quanto questo genere di descrizioni psicologiche riesca molto bene all’autore, alla tredicesima occasione in cui John vuole dichiararsi a Doug ma non ci riesce, identica alle dodici precedenti, monta nel lettore un malessere diverso da quello che Jourdan si proponeva di suscitare. Vero è che il senso di claustrofobia è in parte stemperato dall’aggiunta di brevi boccate d’aria ambientate nella contemporaneità, che esplicitano la prospettiva militante e concedono un’apertura commovente nel lieto fine correttivo. Però anche in questo caso suona semplicistica la contrapposizione fra un passato in cui le cose non potevano che andare in quel modo e un presente in cui le cose vanno necessariamente in modo diverso. Una necessità su cui si regge tutta la costruzione di Jourdan, ma che è solo dichiarata a parole: il problema è proprio l’incoerenza fra tali asserzioni e la rappresentazione degli accadimenti, tale da minare la credibilità del fatto che l’amore di John e Doug non potesse che rimanere inconfesso a causa delle pressioni sociali.

Eppure molti sono gli ostacoli che sarebbero stati sufficienti a rendere plausibile l’interdetto: ne ho immaginati cinque.

1) La famiglia esercita chissà quali pressioni per impedire l’amore fra i due ragazzi. È la prima cosa che viene alla mente, dal momento che parliamo pur sempre di un Romeo e Giulietta. Ma al padre (adottivo) di Doug non importa nulla del ragazzo, mentre quello di John, pur descritto come severo e ultraconservatore, di fatto lascia che il figlio faccia un po’ quello che vuole. Anzi, nonostante l’enorme disparità di ceto prende in simpatia Doug (fatto registrato come addirittura eccezionale). Al massimo sottrae poi al figlio qualche lettera e gli combina l’incontro con Ethel, ma solo per concedergli di gestire come crede la relazione (nonché le proprie finanze), consentendogli di rinviare le nozze a oltranza. Ci ritroviamo così nel campo meramente fatico del melodramma, dove il bene e il male sono dichiarati a parole e si dà per scontato che siano distribuiti in modo manicheo, sicché dobbiamo immaginare che personaggi i quali non appaiono poi così improbi di fatto lo siano. Ma questo sforzo d’immaginazione imposto al lettore si accorda male alla meticolosa esplorazione psicologica del personaggio di John che è la spina dorsale del romanzo: al confronto suo padre rimane una macchietta senza spessore e quindi senza rilievo, anche nella sua presunta malvagità.

2) Almeno uno dei due ragazzi non sa accettare la propria omosessualità e magari sente la necessità, imposta dalla società borghese, di sposarsi. Insomma, qualcosa di simile al Clive del Maurice di Forster. John effettivamente si fa una carriera di dongiovanni, ma è solo un teatrino messo in piedi per non deludere Doug. I suoi amici gay (a parte Doug) capiscono che è gay, tanto più che lui non ha nessuna stima delle ragazze (descrive la prima con cui finisce a letto come «carne umida e appiccicosa»). John non ha mai preso realmente in considerazione nemmeno il matrimonio con Ethel, usata di fatto per illudere il padre (nonostante le siano concesse diverse pagine in prima persona, anche Ethel rimane un personaggio insufficientemente indagato perché la sua scelta abietta acquisisca umana credibilità e travalichi un ritratto di pura e semplice misoginia). Inoltre, il ragazzo dice chiaramente:

Ero posseduto da un amore che non mi lasciava via di scampo. Uomo, donna, che importa: la scelta s’era imposta da tutta un’eternità, e non lottavo affatto contro quell’evidenza, non desideravo che un solo essere, cosa importava che fosse un ragazzo.

Doug esprimerà analoga facilità ad accettarsi gay, respingendo con gentile fermezza ragazzi e ragazze onde conservarsi puro per il suo John.

3) I pur bellissimi John e Doug sono fermi a uno stadio platonico, come ancora Clive, e mai potrebbero concepire alcun contatto fisico, che deturperebbe il loro amore ideale. Ma non è nemmeno questo il caso: Jourdan ci tiene infatti molto a fare di Per sempre un racconto di corpi. Sia pure con qualche incoerenza che può essere facilmente spiegata con le sue perenni titubanze, John desidera carnalmente Doug e ne esplora costantemente il corpo di giorno e di notte, ad ogni occasione che gli si presenti, nella realtà, in sogno o fantasticando a occhi aperti. Né manca di ricambiare offrendo generosamente le proprie forme senza veli allo sguardo dell’amico. Jourdan sa descrivere bene e con trattenuta eleganza anche questo genere di turbamenti, salvo che in una pagina un po’ stonata (non di per sé, ma rispetto a tutto il resto del romanzo) in cui John, sempre molto pudico e parco di dettagli anche nella sua lascivia, improvvisamente desidera che Doug offra – parole sue – «le sue labbra al mio cazzo e ai miei coglioni». Per tre righe siamo improvvisamente catapultati in una fase genettiana che scema rapidamente ma in cui Jourdan si riscopre scrittore erotico. Il punto è però che John si rivela a più riprese personaggio di libido sufficiente a minare qualsiasi inibizione. E Doug? «Noi siamo fatti di fuoco, lui d’aria»: è quanto l’amico Thomas dice a John di Doug e che ci viene ripetuto infinite volte. Ma anche l’etereo Doug ha la sua parte di fuoco e non ricambia solo i sentimenti. Il narratore lo accenna già a p. 91, quindi assai prima delle rivelazioni finali, che sono tali solo rispetto alla portata di una sensualità non certo inferiore a quella di John. «Avevo sete di un corpo, il corpo di John», confessa ad esempio Doug della notte passata in preda ai «demoni della carne» dopo che l’amato era venuto a trovarlo al giornale. Notte da cui si risveglia «con le reni a pezzi per l’eccesso di godimento»: non l’ha dunque trascorsa in mistica contemplazione.

4) Può essere allora che sia semplicemente mancata l’occasione giusta? Decisamente no: i due fanciulli hanno avuto infinite opportunità di stare soli e tranquilli, di scambiarsi affetto, di toccarsi, di dormire insieme, di confidarsi, di ritrovarsi fianco a fianco nudi nei contesti più diversi. Nell’ultima scena, prima del suicidio, Jourdan non si trattiene nemmeno dal spingere la sua fantasia sino a concedere loro un momento di sessualità appagata (in fondo anche Romeo e Giulietta avevano consumato), in una scena ricca di pruriti agresti. Cercato riparo in un fienile dal temporale che li ha sorpresi, John e Doug si tolgono gli abiti fradici. Pur nella penombra, il più pudico Doug si tiene addosso le mutande ma John, che non ce la fa più, gli chiede di togliersele con un pretesto qualsiasi: Doug non aspettava altro. I due si abbracciano così, in tenuta adamitica e con reciproco «turbamento» (leggi erezione) che giunge per entrambi sino all’orgasmo. Ma Jourdan ci chiede di credere che nessuno dei due l’abbia notato, sebbene secondo il narratore onnisciente si accorsero dei battiti cardiaci alterati l’uno dell’altro: ho cercato di immaginarmi le dolorosissime contorsioni necessarie perché un abbraccio appassionato di due maschi nudi agognato da dieci anni possa avvicinare i cuori impedendo però di sentire cosa succeda dalla vita in giù…

5) Rimaneva un’unica possibilità: che questi fanciulli tanto libidinosi, a loro agio con i turbamenti omosessuali e senza genitori interessati a ostacolarli seriamente, che hanno passato anni insieme talora quasi convivendo e certo condividendo ogni centimetro del loro corpo, avessero nondimeno sperimentato qualche altra forma di omofobia in contesti diversi dalla famiglia, o temessero magari (si sa, è un classico) di essere gli unici al mondo “fatti così”. Invece vivono in ambienti ricchi di incoraggiante omosocialità quando non traboccanti di omoerotismo. Jourdan si diletta infatti a immaginare che l’omosessualità fosse pratica diffusa e del tutto accettata nei college americani, persino da parte dei maschi alfa, senza contare che John ha anche un compagno di corso gay felicemente “praticante” che lo consiglia. Non solo: la disponibile curiosità dei maschi eterosessuali si replica finanche tra i colleghi del giornale dove Doug sarà impiegato per qualche tempo. Ma una simile pervasività finisce col minare definitivamente proprio la credibilità dell’interdetto: anche per via dello sfondo storico tanto sfocato, che allora ci fosse una «pazzesca intolleranza» ce lo deve venire a dire Tom al presente, poiché il romanzo ci offre un quadro molto diverso.

Insomma, è chiaro che l’autore vuole condannare il contesto, ma la responsabilità dell’esito tragico sembra alla fine imputabile assai più a John e Doug che non alle rispettive famiglie o alla società. Se cioè il problema, come sembra, è solo che i due non capiscono se l’altro è gay e temono che, dichiarandosi, possano rovinare la loro amicizia, ebbene è un problema che non mi sembra abbia granché da spartire specificamente con gli Stati Uniti o con gli anni Trenta (certo non con quelli descritti da Jourdan), e che c’entra solo indirettamente con l’omofobia. Più che un ritratto generazionale d’ambizione storica, Per sempre sembra alla fine un duplice caso clinico di paranoia. E se proprio dobbiamo credere che nessuno dei due potesse arrivare a capire l’altro, e fossero due campioni di autocontrollo nel contenere e celare le loro pulsioni carnali pur così accese (eppure qualche chiaro segnale se lo sono scambiato), avrebbe dovuto bastare loro quel Romeo e Giulietta così didascalicamente messo in scena a un terzo del romanzo. Nella recita non solo John interpreta Romeo, ma Doug offre guarda caso il Mercuzio più spontaneo che si sia mai visto, perché aveva accettato di partecipare solo a condizione di poter interpretare proprio la parte del giovane che qualche esegeta vuole innamorato di Romeo e che passa metà del suo tempo scenico a proferire doppi sensi osceni sulle parti intime dell’amico e a disprezzare le donne, per tacere del fatto che muore sostituendo proprio Romeo in duello. Inoltre Giulietta è incarnata da un ragazzo (secondo l’uso elisabettiano), nella fattispecie un formoso pallanuotista (il che è un po’ meno elisabettiano), talmente a suo agio nella parte che «il bacio di Giulietta fu un vero bacio». Il giovane sportivo si rivela poi gay pure lui: l’ennesimo, come volevasi dimostrare.

A fronte di tutto ciò, non basta vagheggiare un amore sognante e d’umore romantico per rendere credibile un’inibizione che non sembra avere reale motivo di esistere. L’intera materia avrebbe avuto bisogno di maggior elaborazione per risultare più coerente, anziché di semplice reiterazione, la quale tra l’altro gioca qualche scherzo all’autore (ad esempio a p. 114 si descrive lo stupore di John quando l’etereo Doug per la prima volta confessa una sua umana paura – nella fattispecie per l’acqua –, cosa che in realtà aveva già fatto a p. 71, in una situazione del tutto simile).

Una nota a margine: nella traduzione italiana infastidiscono un poco le sporcature ortografiche e la scarsa padronanza dei pronomi personali, ma rimane lodevole nella memoria l’impresa complessiva delle Edizioni del Cardo, che avrebbe meritato maggior successo.

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