Acqua storta

30 agosto 2013

Si tratta d'un romanzo strutturalmente piuttosto ambizioso a causa dei continui scarti temporali fra un capitolo e l'altro: confesso che trovo un po' superflua questa mancanza di linearità diegetica, ma non mi ha dato alcun fastidio e non incide negativamente sulla qualità del testo: anzi, aiuta a non leggerlo in modo cursorio e superficiale.
Molto indovinata, piuttosto, trovo la scelta del registro linguistico: nel racconto in prima persona il protagonista, giovane figlio di un capo della camorra e camorrista egli stesso, scivola di continuo da un italiano più o meno precario verso il lessico e le strutture sintattiche del napoletano; nella lingua, dunque, sembra quasi riflettersi la vicenda di Giovanni, il quale, in un mondo di violenza criminale spietata e onnipervasiva in cui, d'altra parte, anch'egli si riconosce in pieno, viene quasi per caso in contatto con un mondo, quello dell'omosessualità, del tutto alieno dagli schemi mentali dell'universo camorristico. Il protagonista vive una storia di passione totale per Salvatore, un gregario della sua stessa cosca: ma naturalmente le leggi interne della criminalità organizzata non contemplano la possibilità di vivere fuori dagli schemi tradizionali, frutto d'una radicata e sistematica ipocrisia che santifica l'istituzione familiare (ma sarebbe meglio dire patriarcale o di branco) a spese di qualsivoglia diritto dell'individuo. L'esperienza di Giovanni fuori dagli schemi è semiclandestina, precaria e spezzata come il suo italiano: e, naturalmente, finisce in modo tragico. Al momento della morte, il protagonista si accorge che per la prima volta ha pensato in italiano: ma qui Carrino sembra non volersi prendere troppo sul serio, e fa concludere il monologo interiore del ragazzo con un'imprecazione in dialetto.
Senza voler sovraccaricare il testo con letture "militanti", mi pare che quantomeno se ne possano individuare due filoni esegetici principali. Da un lato, nella camorra vediamo una versione esasperata del familismo amorale che per molti aspetti aduggia la società italiana: il padre di Giovanni gl'impartisce una lezione di morale omofobica che appare grottesca solo perché proviene da un delinquente probabilmente semianalfabeta che cita la Bibbia e Dante appena dopo aver ordinato omicidi e torture; ma, mutatis mutandis, i suoi argomenti e le autorità che allega non differiscono da quelli accampati da politici ed ecclesiastici, i quali si limitano, di solito, solo ad una maggiore raffinatezza nell'argomentare. Dall'altro lato, emerge l'importanza dell'omosessualità vissuta consapevolmente e soprattutto alla luce del sole quale elemento che viene a scardinare proprio quelle strutture oppressive: certo, nel romanzo di Carrino i suoi personaggi sono closeted; ma la loro sconfitta deriva proprio dal fatto che la clandestinità è semplicemente una delle molte facce della cultura familistica e criminale: Giovanni e Salvatore non hanno neppure l'idea di che cosa sia il coming out; ma, se quest'ultimo li escluderebbe dal loro ambiente, e probabilmente segnerebbe la loro condanna a morte, il familismo camorristico è talmente ossessivo e claustrofobico da non tollerare neanche l'omosessualità velata e dissimulata: infatti il racconto si conclude in tragedia. E ancora una volta la cultura camorristica si conferma come il parossismo della cultura familistica italiana.
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Acqua StortaFabio Bazzoli
30/12/2011

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