recensione diMauro Fratta
Chiamami col tuo nome
Per comprendere come anche occasionali indulgenze al pittoresco si convertano in poesia viva, guardiamo le pagine finali sull'ultima notte a Roma di Elio ed Oliver: quel radunarsi di mimi, ubriachi, tossici e turisti fra le pietre millenarie e il silenzio notturno, quel canto di "Fenesta ca lucive" che riverbera ancora e ancora, fin che non restano che i due protagonisti e un occasionale compagno di ebbrezze ad intonarne il ritornello sino all'alba, come gli ultimi orchestrali alla fine della Sinfonia degli Addii di Haydn - Haydn, che Elio per tutta l'estate trascrive per chitarra - è un pezzo possente di elegia quasi surreale.
Potrebbe sembrare un corpo estraneo anche la cena descritta poco prima: niente di più ingannevole. Qui Aciman vive con lo sguardo di Elio: quella cena e il reading precedente, pennellegiati con ostinato amore dei particolari, non sono che la visione incantata d'un diciassettenne che per la prima volta si tuffa, fuori dall'ambiente domestico, in un mondo intellettual-mondano che egli sogna come suo.
Il destino d'un amore totale è segnare la vita per sempre. Aciman, raccontando un amore totale, riesce a colpire al cuore.