Chiamami col tuo nome

28 agosto 2014

"Chiamami col tuo nome" (“Call me by your name”), di André Aciman, si potrebbe dire un romanzo atipico: non tanto e non solo per la storia, una bellissima - direi: classica - storia d’amore tra due ragazzi, narrata peraltro con sensibilità e profondità introspettiva non comuni, quanto per il rapporto che si scopre tra piano narrativo e piano biografico dell’autore. (Ne sono consapevole: spesso, nella lettura di un testo, tenere separate vita e opera è la scelta migliore: da un lato la vita, dall'altro l’opera - artistica, letteraria. Eppure, questo è uno di quei casi per i quali la biografia dell’autore illumina utilmente alcune questioni che l’opera pone. Senza che le due si oscurino o sovrappongano l’un l’altra.) La storia, come prima accennato, è una storia romantica tra due ragazzi, tanto forte da coprire l'arco delle loro intere vite, anche se rivissuta soltanto per brevi incontri e nel ricordo. Metà anni ottanta. Oliver, giovane americano studente di filosofia alla Columbia University, arriva un’estate in Italia, soggiornando per diverse settimane nella casa sulla costa ligure di un professore italiano, che lo segue da vicino nella stesura della tesi di post-dottorato. Elio, figlio diciassettenne del professore, subisce il fascino di Oliver sin dal primo momento. Con il passare delle settimane, e pur avendo entrambi relazioni con ragazze del posto, vengono - si direbbe - messi faccia a faccia con un fatto: si amano. Dolorosa sarà la separazione, per il ritorno di Oliver negli Stati Uniti, anche se la storia verrà coronata da un breve e intensissimo soggiorno a Roma. Separate, le loro vite seguiranno cammini diversi; si ritroveranno a intervalli di anni, cambiati eppure al fondo sempre quelli di quell'eterna estate…

Ora, la storia contiene passaggi dall'omoerotismo molto intenso, a volte anche potentemente immaginifico, e questo aspetto, accanto all'efficacia così veritiera con cui il narratore sprofonda nella psicologia del giovanissimo Elio, mi hanno fatto subito pensare, senza dubitarne un attimo: l'autore è gay. Quale sorpresa poi, andando a scartabellare nelle biografie in rete, scoprire che lo scrittore ha una moglie (e figli). La biografia di Aciman, ho subito notato, è complessa già per pochi scarni elementi: ebreo di origini turche, madrelingua francese, nato ad Alessandria D'Egitto, vissuto per parte della giovinezza con la famiglia in Italia, e successivamente negli Stati Uniti (New York)…

Sull’onda di una perplessa curiosità, mi accingo a leggere le interviste, per sentire la viva voce dello scrittore: in una di queste interviste, alla domanda posta dalla giornalista se il romanzo fosse in qualche misura autobiografico, così lui risponde: "Mi crederebbe se le dicessi che il più grande amore della mia vita è stato un uomo? Avevo 10 anni e lui 17. Eravamo amici in Egitto e lui non ha mai sospettato nulla, anche perché io stesso ero confuso, non capivo bene cosa stessi provando. Mio padre probabilmente non avrebbe approvato. Non è stato facile calarmi, cinquant'anni dopo, da uomo adulto, nei panni di quel ragazzino ipersensibile e trasferirne sulla carta le emozioni. Sembra però che alla fine vi sia riuscito. Secondo i lettori è il mio libro che li ha maggiormente colpiti."

Più che biografico, a mio parere, a questo punto il problema è già sul piano letterario - e non lo intendo nel senso di letteratura come compimento di sentimenti o esperienze solo abbozzate o non pienamente vissute nella vita (anche se probabilmente sarebbe la questione più interessante, ma richiederebbe ben altri spazi e capacità), bensì come problema afferente alla letteratura “a tematica lgbt”.

Così risponde sempre l'autore alla domanda di un giornalista:

G: Si secca quando il suo romanzo viene limitato da una definizione che lo restringe nelle strettoie di un genere - voglio dire, quando viene definito come ‘romanzo gay’ invece che, semplicemente, ‘romanzo d’amore’?

A: No, non mi secca, penso che sia inevitabile, perché è come reagisce la gente, ognuno ha il suo modo di lettura. E’ inevitabile. E tuttavia mi ritengo fortunato, perché tutti quelli che hanno letto il mio libro e mi hanno contattato dicono sempre le stesse cose - cioè che non importa chi siano i protagonisti della storia d’amore, sarebbero potuti essere un uomo e una donna, non avrebbe fatto differenza. “Chiamami col tuo nome” è un romanzo sull’intimità, che è una cosa molto rara. E proprio perché è raro trovarla, va bene con chiunque la si trovi.

In un'altra intervista, egli affronta a viso più aperto la questione:

G: Perché nessuno ha parlato di gay fiction per un romanzo come Chiamami col tuo nome?

A: Perché sono un uomo che ha moglie e figli e pertanto è considerato eterosessuale, il che è un fatto; questo non è mai diventato un romanzo gay. Il lettore gay vuole romanzi scritti da gay, e divide il mondo in omosessuali, eterosessuali e omosessuali nascosti. Ma la verità è che ognuno di noi è una costellazione di esseri. Noi non siamo, come dice Elio nel libro, fatti per essere suonati da un solo strumento, non siamo una persona sola e non abbiamo una sola sessualità.

G: Per questo non è un caso che in Chiamami col tuo nome, Aciman abbia fatto di Oliver uno studioso di Eraclito:

A: Perché in Eraclito c' è un profondo scetticismo per ciò che appare in su-perficie. Eraclito dice che alla natura piace nascondersi; in altre parole dice che è nella natura dell'universo non essere rivelati.

(Non per nulla, l'ultima intervista titola: "amore gay, ultima frontiera etero".)

Confesso che per me questo autore è stato un po' una benedizione, non solo per la qualità della sua scrittura e i suoi riferimenti letterari (Proust prima di tutti: non bisogna dimenticare che il libro è anche una riflessione sul tempo e il suo scandire le relazioni umane), ma soprattutto per i nodi, complessi ma esposti con sincerità e senza semplificazioni, che legano le sue idee, il suo stile, la sua biografia. I nodi che forse proprio nella loro contraddittorietà e irresolutezza sotto sotto dicono: “libertà".
Forse, anche con questo autore, si stanno abbandonando le barriere e le etichette (che sono più materia da politici e bibliotecari) per penetrare problemi, letterari e esistenziali, più complessi e più profondi, o magari soltanto più “veri”; con grande beneficio, ne sono convinto, per il sentire comune, soprattutto nei giovani, miei coetanei (ventitré anni) e no…

Credo che dopo aver letto il libro e aver riflettuto sulla sua storia, in tutti i sensi, non ci si possa non domandare: in fondo, non è un passo avanti? Ai lettori le risposte.

Qui sotto, i link delle interviste:

http://archiviostorico.corriere.it/2013/agosto/10/Aciman_mia_vita_lungo_esilio_co_0_20130810_32f5bc3c-0180-11e3-ae0c-005a4b618eb7.shtml

http://www.stradanove.net/interviste/personaggi/andre-aciman

http://archiviostorico.corriere.it/2008/aprile/08/Amore_gay_ultima_frontiera_etero_co_9_080408049.shtml

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