recensione diMauro Giori
Peter Berlin
Il documentario ripercorre la vicenda di Peter Berlin (nome d'arte di Armin Hagen Freiherr von Hoyningen-Huene), nato in Polonia, cresciuto a Berlino e diventato a San Francisco un sex symbol del gay virile e dell’immaginario leather nei primi anni Settanta. Conosciuto soprattutto per due film porno che ha interpretato e diretto, per la sua attività di fotografo (prevalentemente di se stesso) e per l’abbigliamento provocante con cui se ne andava in giro per la città, Berlin si era guadagnato per qualche anno una certa notorietà internazionale, senza però interessarsene granché.
Il documentario ricostruisce alcuni tratti salienti della sua personalità e del suo lavoro, principalmente mediante interviste allo stesso Berlin, ora settantenne, e una serie di testimoni della vita culturale di San Francisco e della New York di quegli anni, come l’immancabile Maupin e il sempre frizzante John Waters. È proprio quest’ultimo a dare il contributo non solo più divertente, ma anche più disincantato alla ricostruzione del personaggio Berlin, riuscendo a farne passare un sostanziale ridimensionamento pur dando l’impressione di voler partecipare alla sua celebrazione. Ridimensionamento opportuno, anche rispetto a un documentario che, come troppo spesso accade nel ricostruire schegge di storia, rischiava altrimenti di innalzare un monumento dove bastava affiggere una lapide commemorativa. Tutto sommato, Berlin è stato infatti semplicemente il narcisista giusto al posto giusto nel momento giusto, tanto da sedurre per accidente personalità quali Mapplethorpe, Warhol o Tom of Finland, semplicemente perché facendo quello che faceva in quegli anni non poteva andare diversamente. Lo stesso Berlin riconosce di essere stato troppo pigro e volubile per fare ciò che sarebbe stato necessario al fine di poter diventare un personaggio di calibro nell’ambiente culturale newyorkese. Tuttavia, a voler essere onesti bisognerebbe riconoscere che se come pornografo aveva una sua vena originale e come modello aveva certamente il physique du rôle, come artista avrebbe avuto molta strada ancora da fare.
Diverte comunque il personaggio dell’anziano Berlin, novello Münchhausen che rievoca con sorniona nonchalance fatti del passato e incontri eccellenti ammantandosi di celestiale distacco (come nel caso delle avance di Nureyev) ma finendo così col mettersi nostalgicamente al centro – pur dando a credere di non volerlo fare – di quell’età in cui la pornografia fioriva di vita nuova, alla luce del sole, e sembrava destinata ad ammantarsi di dignità artistica.